Passamonti lascia «Ho fatto il poliziotto in mezzo alla strada»

22 Dicembre 2016

Il questore in pensione a gennaio racconta 44 anni di carriera: Brigate Rosse, Aspromonte fino alle confische ai rom pescaresi

PESCARA. È passato in mezzo alla storia lavorando. Quasi senza accorgersene. Giovane poliziotto della provincia teramana che a 23 anni e mezzo (era il 1977) già dirigeva il quinto nucleo delle Volanti di Roma, circa 250 uomini da coordinare «quando tra Nar, Brigate Rosse, Lotta continua e Potere operaio nella Capitale c’erano cinque sei attentati a notte». Ora che il primo gennaio andrà in pensione, il giorno dopo il suo 63esimo compleanno, il questore di Pescara Paolo Passamonti accetta di riaprire l’album dei ricordi alla maniera sua. Senza retorica, tratteggiando caratteri e persone, azioni e sentimenti come se fossero adesso. E come se lui, che nel raccontarli si commuove e s’infervora, fosse ancora lì: a Roma in via Fani tra i primi ad arrivare dopo la strage della scorta e il rapimento di Aldo Moro, o in mezzo alle montagne dell’Aspromonte a scoprire covi e rapitori. Sette sequestri di persona solo nei due anni, dal ’91 al ’93, in cui a Bovalino ha diretto il Nucleo antisequestri, appena fondato dopo lo sbarco di mamma Casella a reclamare incatenata il figlio Cesare, ostaggio dal 1988 al ’90. In mezzo, tra le Brigate Rosse e l’Aspromonte, per Passamonti dieci anni nei servizi segreti, nel Sisde appena nato, «in un posto che non si può dire». E poi la provincia, a Chieti come dirigente di Digos, ufficio Stranieri e Anticrimine, Ravenna e Ascoli Piceno da vicario. E ancora dirigente del dipartimento di polizia ferroviaria a Torino dal 2003 al 2006 a coordinare l’ordine pubblico durante le Olimpiadi Invernali del 2006, come aveva fatto pure a Milano in occasione dei Mondiali del 1990. Ma anche in Albania nel 2001 a capo del contingente di polizia e poi il traguardo da questore, prima a Macerata e dopo, il 10 febbraio del 2010, a Pescara.

Signor questore, cominciamo da Pescara. Che città è?

Una città complicata. Tante anime e ognuna che vorrebbe fare di testa sua. Tipo gli ultras o i pescatori.

Qual è la cosa di cui più va orgoglioso?

Abbiamo sderenato le famiglie rom grazie alla bellissima legge antimafia che ci ha consentito di perseguire chi ha fatto i soldi senza lavorare. Con i sequestri e le confische che sono venute poi, abbiamo tolto 40, 45 milioni di euro di beni alle famiglie rom finite all’angolo.

Che cosa non è riuscito a fare in questi anni pescaresi?

Abbiamo fatto tantissimo, non so se si poteva fare di più. So però che non abbiamo avuto incidenti di alcun tipo, tutti hanno potuto manifestare, compresi quelli che lo hanno fatto nel giorno in cui a Pescara, e per dodici ore, abbiamo avuto la visita del presidente del Consiglio Renzi.

Ci sono stati anche due omicidi, tuttora irrisolti, Nicola Bucco e Italo Ceci.

Ci abbiamo lavorato tanto su tutti e due. Sull’omicidio Ceci sappiamo quasi tutto, ma manca la prova principe. Su Bucco ci abbiamo lavorato a 360 gradi.

Un delitto perfetto allora?

Non esiste il delitto perfetto, qualche errore si commette sempre. Ci vuole solo un po’ più di tempo per scoprirlo.

E lei qualche errore l’ha fatto durante la sua carriera?

Mi viene in mente un episodio in cui ho avuto veramente paura, un errore da cui ho imparato che prima di farsi prendere dall’enfasi professionale bisogna pensare alla sicurezza personale.

Ci racconti.

Era il ’92, in Calabria. L’avvocato Minniti, legale storico delle cosche di San Luca, mi contatta per dirmi che un giovane latitante si voleva costituire, ma che i genitori lo volevano consegnare a me, di persona. Va bene dico io. Era novembre. L’avvocato mi passa a prendere verso le sette, le otto di sera con la sua macchina. Soli lui ed io, un deserto. Ci inerpichiamo in mezzo alle montagne e lui mi dice: se adesso ci vogliono ammazzare ci fanno fuori come due polli. Mi ha gelato il sangue, perché in quel secondo ho realizzato che poteva succedere davvero.

Ha vissuto l’ultima stagione dei grandi sequestri in Calabria. Sette nei soli due anni scarsi in cui ha diretto l’Antisequestri. Che si prova quando si libera un ostaggio?

La sensazione è come quando esci da un intervento chirurgico. Felicità e stanchezza. Ma in quel periodo come finivi si ricominciava. Tipo i sequestri Zappia e Falcone. Il primo durò due giorni, era sotto elezioni, aprile del 1992 tutti i reparti di polizia in sede. Come scattò l’allarme del rapimento ci fu un dispiegamento talmente alto che i rapitori abbandonarono l’ostaggio in un fosso, lo trovammo dopo due giorni. Lo interrogammo fino alle 5 del mattino. Vado a dormire sfinito e dopo un’ora mi chiamano che avevano rapito Falcone. Lavoravi con una tensione nervosa continua.

Ma come finì in Calabria?

Dopo tre anni a Chieti chiesi al capo della polizia Parisi di tornare a Roma. A giugno mi chiama il prefetto De Luca capo del personale e mi dice “uagliù, il capo vuole che vai a Bovalino, che gli dico?” E io: se l’ha detto il capo va bene. Quando arrivai lì la prima cosa che pensai fu “Dove so’ capitat’”. La seconda: quando me ne vado da qua?. Ma il giorno dopo, in ufficio, cambiò tutto. Per prima cosa contattai un ristoratore, me lo aveva indicato un collega calabrese a Roma. Mi serviva un appoggio per conoscere il territorio, la cosa più importante per un investigatore. Con lui, sul suo fuoristrada, ho girato tutto l’Aspromonte. Strade, covi, stalle, sono riuscito a ricostruire tutti i clan malavitosi di San Luca operativi, a partire dai nipoti di Giuseppe Strangio, l’organizzatore del sequestro Casella.

Tra tutte c’è la liberazione di Paolo Canale in 36 ore. Come andò?

La sera che lo rapirono ero ad Ardore Superiore, un paese bellissimo, a prendere una granita con mia figlia. Torno a Bovalino, nella sede dell’Antisequestri e il dottor Pacella mi dice che la moglie di Canale era venuta a denunciare che il marito non era tornato. È un sequestro dico io, e avvisiamo tutti. La mattina esco in elicottero alle sei. Mi ero letto due faldoni dell’interrogatorio di un ostaggio precedente, Sestito, che descriveva per filo e per segno il covo, come ci era arrivato, le scritte, le travi, tutto. A Serro Papa, un’altura vicino San Luca. Mentre stiamo in elicottero Canale riesce a telefonare col suo telefonino. Dice dove si trova, era lo stesso posto di Sestito. L’abbiamo tirato fuori con l’elicottero. Arrestammo Strangio e poi anche i complici.

Perché ha scelto la polizia?

Sono entrato nelle Fiamme Oro a 19 anni, nel 1973, ero campione regionale di pugilato. Poi da lì ho fatto il concorso per entrare in Accademia, fui il primo classificato. Dopo quattro anni dirigevo le Volanti a Roma. Fare il poliziotto era uno dei miei sogni, insieme alla passione per il volo.

In tutti questi anni ha incrociato tante storie. Quale le è rimasta più impresso?

Non posso dimenticare quella mattina del 16 marzo in via Fani. Vedere tutti i ragazzi che incrociavo quotidianamente ammazzati così, in quel modo, non te lo puoi scordare. È inimmaginabile quello che c’era quella mattina. Mi ricordo che andai al primo piano di una palazzina a fianco. C’era una signora anziana. Mi abbracciò, scoppiammo a piangere. Ma era un’altra epoca. Tra i poliziotti c’erano tanti ragazzi semplici, felici di quel lavoro, anche se ogni volta che si usciva si rischiava la vita. Com’è successo a Francesco Straullu, un mio allievo in Accademia ucciso dai Nar nel 1981 quando era capo di una sezione della Digos. Quello è stato un dolore. Come per Pierino Ollanu un ragazzo perbene, educato. L’ultima volta che lo vidi gli avevo fatto un cazziatone per un inseguimento in piazza Esedra in cui nella confusione fu esploso un colpo che finì per terra. Mi arrabbiai con tutti i ragazzi, ma poi si faceva pace, bastava un caffè insieme. Ma non ho avuto tempo, perché Ollanu fu ammazzato dalle Brigate rosse pochi giorni dopo, a maggio ’79.

Il primo gennaio va in pensione, che farà?

Me ne torno a Pineto, nella mia casa di campagna.

Seguirà ancora il Pescara?

Certo. Il Pescara è la squadra di riferimento per tutti gli abruzzesi. E poi da quando faccio il questore gli ho portato bene. Sono arrivato che stava in C1 e adesso è in serie A.

Che poliziotto è stato?

Ho fatto il poliziotto in mezzo alla strada anche da questore. Perché non resisto, se succede un fatto devo andare.

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