Violenza di genere, Roberta Bruzzone a Pescara: «Otto donne su 10 non denunciano: sono convinte che subire sia normale»

La nota criminologa è stata in città per il convegno sul Codice Rosso: «Le leggi non bastano, bisogna agire sui modelli culturali errati»
PESCARA. «Otto donne su dieci non denunciano le violenze perché la maggior parte di quelle donne è convinta che, tutto sommato, subire da parte di un uomo prepotenze, vessazioni, umiliazioni e persino botte sia normale». La criminologa e psicologa forense Roberta Bruzzone è stata ieri pomeriggio a Pescara per il convegno “Codice Rosso: anatomia della violenza di genere”. E Il Centro l’ha intervistata.
Il Codice Rosso ha dato un’importante spinta sui tempi di indagine e di intervento delle forze dell’ordine. Ma la violenza di genere è, purtroppo, un fenomeno ancora sommerso. Otto donne su dieci a oggi non denunciano...
«Non si può pensare realisticamente di contrastare la violenza di genere solo sul piano giudiziario: se non c’è un lavoro serio di prevenzione, di consapevolezza e di modifica dei modelli culturali, stereotipi di genere, che ancora oggi sono ampiamente improntati a una logica di tipo patriarcale, temo che continueremo a dover invocare Codici Rossi a rotta di collo. Non denunciano, perché la maggior parte di quelle otto donne è convinta che, tutto sommato, subire da parte di un uomo prepotenze, vessazioni, umiliazioni e persino botte sia normale; l’idea di separarsi da quell’uomo le getta in un abisso di angoscia, perché ancora oggi insegniamo alle donne che senza un uomo a fianco la loro vita non vale niente».
In che modo si può intervenire concretamente sui modelli culturali, offrendo strumenti di prevenzione?
«Il problema grosso è che i modelli culturali si cambiano in un solo modo: portando le persone ad avere consapevolezza di quanto agiscano modelli di questo tipo, spesso in maniera inconsapevole».
Nel libro Io non ci sto più. Consigli pratici per riconoscere un manipolatore affettivo e liberarsene lei aiuta a capire come individuare le figure tossiche. Finire nella rete di un manipolatore affettivo è molto più semplice di quello che si crede.
«La maggior parte delle donne viene cresciuta pensando che essere dipendente da un uomo sia normale, accettabile. Non viene promosso un modello di piena autonomia. Quindi, quando arriva un manipolatore che all’inizio ti apparecchia una tavola imbandita di cose meravigliose, promesse, complimenti e quant’altro, che ti bombarda, e in cambio ti chiede di abbandonarti completamente a quella relazione, di dipendere completamente da lui, la gran parte delle donne questo salto lo fa. Questo tipo di soggetto può agganciare chiunque, la fase di gratificazione quotidiana si protrae per diversi mesi».
È tornato di attualità il delitto di Garlasco, di cui parla anche nel libro Delitti allo specchio: i casi di Perugia e Garlasco a confronto. Qual è la sua opinione sulla riapertura delle indagini?
«Sto portando in giro Delitti allo specchio, nei teatri di tutta Italia. Nello spettacolo ho aggiunto un pezzo che tratta proprio di quest’ultimo sviluppo e in cui spiego cosa è successo nelle inchieste precedenti a carico di Sempio, gli elementi su cui si è aperta questa nuova inchiesta. Quello che è all’attenzione dei giudici in relazione all’incidente probatorio non mi sembra che al momento porti grosse novità. La possibilità che il materiale genetico compatibile con quello di Sempio possa essersi trasferito lì in maniera fortuita e accidentale è una possibilità che non può essere esclusa, ma solo sulla base di quell’elemento non si andrà molto lontano. Ora verranno sottoposti a indagini alcuni reperti che all’epoca non vennero considerati. Se non verrà fuori qualcosa di concreto, mi sembra improbabile che si possa realisticamente pensare di portare Andrea Sempio a processo».
Si è già espressa, di recente, sull’omicidio di Christopher Thomas Luciani. Qual è la sua opinione sulla violenza giovanile in aumento e sulla mancanza di empatia?
«La gran parte di ragazzi che uccidono, che si macchiano di reati molto gravi – guardi quello che è successo ad Andrea Prospero a Perugia – sono ragazzi che vanno a scuola, hanno famiglie normali. I genitori del ragazzo che ha provocato la morte di Andrea fanno gli infermieri, dovrebbero essere persone con una certa attenzione per gli altri, se non altro per il tipo di scelta professionale che hanno fatto. Eppure lui si è dimostrato un carnefice. Ha portato prima Andrea ad aprirsi con lui, poi quelle vulnerabilità le ha sfruttate per spingerlo verso l’abisso del suicidio. È chiaro che il problema dell’empatia è molto serio».
Spieghiamo meglio perché.
«L’assenza di empatia, la disregolazione dell’empatia, porta a sviluppare dei disturbi della personalità. Senza empatia è come se non si avesse quel freno a mano che impedisce di fare male a chiunque, pur di trarne vantaggio. Questo ragazzo, probabilmente, dall’idea di spingere Andrea a uccidersi e poi godersi lo spettacolo fino alla fine, ha tratto gratificazione, si è sentito forte, in grado addirittura di far morire le persone a distanza. Questo purtroppo l’ha nutrito. Questo è l’elemento su cui dovremmo concentrarci: come mai questi ragazzi sono così vulnerabili da aver bisogno di distruggere qualunque cosa gli capiti a tiro? Luciani è stato ucciso da due ragazzi che spacciano e ne hanno decretato la morte, non per i soldi in quanto tali, ma perché lui, non pagandoli, li aveva sfidati nel loro potere. Si sono sentiti sfidati sul piano della forza».
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