Stalking, donna denuncia il suo persecutore: "Mi ha rubato la vita, temo per i miei figli"
Il caso di una insegnante di Pescara segue di pochi mesi quello della ex Miss. L'appello alle donne: "Reagite, non isolatevi e denunciate sempre i vostri persecutori"
PESCARA. Prima una modella ex Miss, poi una insegnante madre di famiglia. Entrambe di Pescara, entrambe perseguitate giorno e notte, entrambe vittime di stimati professionisti che sono riusciti a stravolgere la loro vita di donne e di madre, rischiando più volte l’arresto ma ancora liberi di perseguitarle con mezzi più subdoli, soprattutto attraverso facebook.
La questura di Pescara, attraverso l’ufficio dell’ispettrice Di Giannandrea, continua a difendere la vita di donne vittime di stalking, che senza una protezione rischierebbero di aumentare statistiche ben peggiori, come quelle che riguardano il femminicidio. Dopo due diffide e una denuncia, che hanno avuto l’effetto di esasperare i comportamenti del suo “carnefice”, l’insegnante – pur nell’anonimato - ha deciso di raccontare il suo dramma anche per convincere le tante donne perseguitate e vittime di partner violenti di non restare zitte, di denunciare senza indugio i vigliacchi che si nascondono dietro parole come “amore” e “amicizia”.
- Può spiegare ai nostri lettori cosa vuol dire adesso, secondo lei, essere vittime di stalking?
Fino a qualche mese fa avevo una conoscenza del fenomeno dello stalking come ce l’hanno un po’ tutti. L’avevo letto sui giornali o, tutt’al più l’avevo ascoltato in televisione. Non pensavo ci fosse comunque una grande relazione con i crimini veri e propri di cui purtroppo siamo spettatori quotidianamente. Il pensiero che comunque che mi dava egoisticamente tranquillità era preciso: “A me non accadrà mai!”. Guardavo le altre malcapitate cercando di capire cosa provassero. Mai avrei pensato di diventare vittima di uno stalker. Come vivo il dramma? In maniera dolorosa e confusa. Stalking significa non avere più una vita normale. Non sei più libera perché vivi la presenza oscura e minacciosa de tuo persecutore, anche di notte, nei tuoi incubi. Persino il parcheggio sotto il tuo ufficio diventa un nemico. Avviarsi verso la propria macchina la sera quando esci dall’ufficio significa sentire il rumore dei propri passi amplificati e, finché non chiudi la portiera, i tuoi battiti accelerano fino a farsi sentire in gola. Ti senti strozzare da un anello se resti sola anche solo per trenta minuti, ti giri di scatto ovunque nel terrore di trovare quel volto un tempo amico. Cambi abitudini di vita, orari, frequentazioni, percorsi. Tutto.
- Come ha conosciuto il suo persecutore?
A un evento culturale. Sempre cortese, attento, premuroso, gentile. Almeno nei primi due mesi. Credevo di conoscerlo, a lui e a sua moglie ho aperto anche la porta di casa mia, hanno cenato insieme a mio marito e ai miei figli. La tipica persona che ti sembra di conoscere da sempre. Ma quelle persone che si conoscono da sempre non sono le stesse che poi ci terrorizzano. Dell’amico, dell’ex marito o dell’ex fidanzato restano solo le sembianze fisiche. Al loro posto c’è un mostro. A volte cerchi di ripristinare un’ immagine iniziale dell’amico per autodifesa; cerchi insomma di difenderti dalla paura soprattutto quando il condizionamento della tua vita è arrivato a livelli importanti. In altre parole, ti sforzi di pensare: “Non credo che possa uccidermi, eravamo amici”. Le immagini dei due soggetti: il primo amico e l’altro stalker si sovrappongono. Disperatamente tenti di dare un volto che non sia quello del mostro ma tu sai che sei in pericolo perché l’hai visto con i tuoi occhi, l’hai percepito nella violenza di gesti e parole magari dopo l’ennesimo rifiuto ad andare a letto con lui. Ho dovuto superare lo shock iniziale, lo smarrimento. Non credevo ai fatti che mi si presentavano di volta in volta. Credo che questa persona sia malata. Vivo oggi nella consapevolezza assoluta che non sia la stessa persona che un tempo ho conosciuto. Sono certa che in uno stato di lucidità non avrebbe mai agito in questo modo. Quando si pensa allo stalker si ipotizza chissà quale delinquente. L’aver familiarizzato con il soggetto porta la vittima spesso ad abbassare le difese e a non riconoscere nemmeno la situazione di reale pericolo.
- Messaggi, pedinamenti, telefonate, minacce via facebook… cosa ha subito di più? E cosa le ha fatto più male?
Ho cominciato ad aver paura seriamente quando ho scoperto di essere continuamente seguita. Tenga conto che spesso sto con i miei figli, per cui la paura si è triplicata. Le minacce via social sono molto frequenti, e non arrivano certo solo dagli stalker. La comunicazione violenta non dipende dal mezzo che si utilizza per comunicare ma dal mittente che invia il messaggio. Facebook (per esempio) a mio avviso dice molto delle persone e considero anche che possa essere un grande mezzo di conoscenza reale. Si contrappone in maniera troppo semplicistica il reale al virtuale demonizzando spesso quest’ultimo. Credo che un social possa tornare utile invece perché permette a molti di esprimersi in maniera libera. In altre parole, l’invadenza di uno stalker su un canale virtuale arriva più velocemente perché non trova barriere. E così accade che la vittima si ritrova a dover difendere il proprio territorio sociale anche sul web. A mio avviso questo aiuta la vittima a capire anzitempo con chi si ha a che fare. Così è capitato a me.
- Come ha reagito davanti alle prime persecuzioni?
Ho seguito il consiglio di una esperta ed ho cercato di farlo ragionare per cercare di farlo “rientrare” senza ricorrere a strumenti precisi che la legge prevede. Non è servito a nulla. L’aggressività è aumentata vertiginosamente. Ha cercato di diffamarmi in ogni ambiente a me familiare contattando persone a me vicine. Ha iniziato a chiedere in maniera ossessiva informazioni sulla mia persona costringendo molte di loro ad allontanarlo.
- Ricorrere alle forze di polizia è una soluzione al problema?
La legge non può aiutare chi ha paura. Per denunciare occorre superare un ostacolo che diventa ogni giorno più grande e si ciba di ogni violenza subita. Non si denuncia perché si teme la ripercussione dell’atto sulla propria persona. E’ facile pensare alle forze dell’ordine come soluzione quando non si è coinvolte ma quando si vive una situazione di pericolo reale non si riesce a ragionare con lucidità. In ogni caso, e anche dopo l’eventuale denuncia, la legge fa quello che può. “Non possiamo murarla viva e possiamo intervenire solo se ci sono passi falsi dello stalker, minacce concrete”. In altre parole, deve essere trovato sul posto e con un atteggiamento chiaro. Personalmente ho denunciato il fatto e sono felice di averlo fatto. In ogni situazione di stalking esiste già un delitto, quello psicologico e questo, spesso paralizza le donne. Ci si priva di qualsiasi energia vitale. Si rischia di conoscere un tipo di fragilità che può uccidere. Si ha paura. Ho provato anch’io paura, terrore, panico. Sono riuscita a reagire solo quando ho capito che lo stalker agiva perché mi voleva sempre più fragile. Lui sapeva come far crollare le mie sicurezze. Ha usato armi molto subdole. Poi, mi sono resa conto che avrei dovuto minare questa sua capacità/ossessione di controllo sulla mia persona. Superare questo scoglio non è facile. La legge rappresenta una soluzione concreta, valida ma comunque occorre avere la premura di usare misure di sicurezza personali. In ogni caso, denunciare lo stalker è il primo passo concreto verso la libertà.
- Cosa direbbe oggi alle tante donne vittime di stalking?
Non siate sole. Mai. Esiste una legge e persone che amano fare il loro lavoro. Non abbassate la guardia. Reagite! La debolezza vostra è un potente alleato del vostro potenziale carnefice. Non permettete a nessuno di rubarvi la libertà. Denunciate, fatevi assistere. Non abbiate paura. Mai. La vita è una e non dovete permettere a nessuno di rubarvela. In alcun caso. Uno stalker è solo una persona malata e come tale va curata. Si alimenta di debolezze altrui come la paura. Ecco, toglietegli i viveri e la sua debolezza sarà ben più grande della vostra paura iniziale. Proteggetevi non solo con la legge, ma anche con qualche persona addetta ai lavori.
- E al suo persecutore che in questo momento potrebbe leggere l’intervista e riconoscersi, cosa direbbe?
Che a pensarlo provo schifo. Uno schifo pazzesco. Se poi penso al soggetto malato umanamente gli auguro la guarigione. Gli direi anche che il mio atteggiamento verso gli altri non è cambiato e che il mondo è pieno di brava gente e che mai avrò pregiudizi verso il prossimo. Gli direi che lui è stato solo un incidente di percorso che mi ha fortificata, che amo più di prima avere contatti con il mondo, che non ho paura di lui né di quelli come lui. In questo, forse esprimo al meglio la mia ritrovata libertà.
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