Tagliarono 124 alberi nel Parco della Majella: condannati a ripiantarne 500
Il Tar respinge il ricorso dei titolari di un’azienda agricola di Bolognano che avevano prelevato le piante
BOLOGNANO. Tagliarano 134 alberi, ma adesso dovranno ripiantarne quattro volte tanto. Il Tar Abruzzo, sezione di Pescara, respinge un ricorso di un’azienda agricola di Bolognano che chiedeva l’annullamento di un provvedimento del Parco Nazionale della Majella con cui si ordinava «la ricostituzione di alberi danneggiati con la messa a dimora di almeno quattro esemplari di piante forestali per ciascuna delle piante abbattute e il ripristino dello stato dei luoghi».
Secondo i rilievi effettuati dalla Forestale nel febbraio del 2011, i responsabili dell'azienda si sarebbero resi responsabili dell'abbattimento di 124 piante di roverella, dello sradicamento di altri 5 esemplari di specie arbustiva superiore di flora spontanea protetta, dell’ apertura di tracciati simili a piste forestali, in un’area protetta dove è assolutamente vietato anche il semplice prelievo legnoso.
Le norme di attuazione al Piano del Parco impongono la richiesta del nulla-osta per ogni intervento e consentono le attività agro-silvo-pastorali nei limiti delle disposizioni dettate dalla normativa. E quanto avrebbe accertato la Forestale non avrebbe avuto «il criterio della normalità». L'azienda agricola è stata condannata anche al pagamento di tremila euro per le spese di causa a favore dell'Ente Parco della Majella.
La sentenza chiarisce che il ripristino dello stato dei luoghi debba avvenire con tempi congrui, per evitare che il Parco agisca in sostituzione e a danno dei ricorrenti. La memoria difensiva dei ricorrenti è stata basata sulla constatazione che nella zona C del Piano è consentita l'attività di agrosilvicoltura e nel caso di cui si tratta si sarebbe trattato di una ripulitura del bosco, di piante malformate, legna caduta e tagli ordinari per il rinnovamento colturale, nonché l'esercizio dei diritti reali e degli usi civici come il legnatico. La presenza di piste forestali sarebbe da attribuire ad azioni naturali del terreno risalenti ad anni precedenti. Nel ricorso si evidenzia che questi aspetti sarebbero stati trascurati nella valutazione da parte dell'Ente Parco. Ma secondo leggi in vigore al legale rappresentante dell'Ente ha l’obbligo di disporre l'immediata sospensione delle attività ritenute illecite e di ordinare il ripristino dello stato dei luoghi con la piantumazione di nuovi alberi. Circostanza, questa, riconosciuta dal Tar e fatta valere. Le leggi che regolano la materia stabiliscono anche sanzioni penali per queste violazioni (arresti ed ammende), ma qui, nell'ipotesi di coesistenza tra illecito penale con quello amministrativo, è stata riconosciuta l'autonomia dell'illecito amministrativo, da cui l'ordinanza di riduzione in pristino.
Walter Teti
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