Carlo Mammarella con il presidente della Ternana Stefano Bandecchi

INTERVISTA

Carlo Mammarella: «500 da professionista e non voglio fermarmi» 

A 37 anni il terzino della Ternana continua a giocare e... a fare gol

PESCARA. A 37 anni continua a correre e a dare calci al pallone. Di tanto in tanto, Carlo Mammarella si toglie anche lo sfizio di confezionare delle prodezze. Lo ha fatto anche domenica scorsa al Liberati contro il Bisceglie. Un gol su punizione, ovviamente, per il terzino originario di San Giovanni Teatino che anche a Terni stanno iniziando ad apprezzare. Un mancino con il vizio del gol. A Lanciano ha contribuito a scrivere pagine di storia calcistica con la Virtus promossa in serie B e prima in classifica ai tempi della gestione Marco Baroni. Incurante dell’età che avanza continua a giocare e domenica ha festeggiato le 500 presenze tra i professionisti, quasi 20 anni di calcio da protagonista. Sì, perché ovunque è andato si è fatto apprezzare. Ora la sua nuova sfida è portare la Ternana più in alto possibile nel girone C della serie C.
Mammarella, a chi dedica questo traguardo?
«Alla famiglia. Se resisto a questi livelli è merito dei miei. Il pensiero va ai miei genitori che hanno fatto dei sacrifici sin da quando ero piccolo fino a mia moglie e ai figli che mi hanno dato un equilibrio importante per disputare queste 500 partite e sono tutte o quasi da 90’, mica da uno o 10’!».
Ricorda la prima partita tra i professionisti?
«Sì, con il Pescara stagione 2001-2001, in Prima divisione. Avevo fatto il ritiro precampionato con la prima squadra di Ivo Iaconi, quella che poi perse i play off a Catania. Lui verso fine campionato mi fece esordire a Sassari».
Fino a quando ha intenzione di giocare?
«Eusebio Di Francesco, qualche anno fa, mi disse: “Quando la lingua va più veloce delle gambe è il momento di smettere”. In questo momento, per quanto mi riguarda, corrono molto più le gambe. E quindi proseguo. Mi diverto ancora, vado al campo con entusiasmo per fare allenamento. Posso continuare a prescindere dall’età. Per adesso, mi sento ancora ragazzino, anche se so che il giorno del ritiro arriverà prima o poi».
Il piede sinistro è sempre fatato, ha segnato di nuovo su punizione domenica scorsa contro il Bisceglie.
«Ogni tanto certe giocate mi riescono. Quella dei calci piazzati è una qualità naturale che ho affinato negli anni. Quel pregio cerca di colmare qualche altro gap che ho nel mio bagaglio calcistico. Domenica ho fatto gol su punizione, il secondo della stagione. In totale sono 34 i gol su punizione in carriera».
Qual è stata la sua partita più bella delle 500 disputate tra i professionisti?
«Mia personale, dico Lanciano-Empoli, in serie B. Feci gol alla fine, segnai la rete del 2-1 al 94’ e battemmo l’Empoli di Sarri».
Il momento più brutto?
«Dopo Trieste, dopo il mio primo anno in serie B. Avevo 23-24 anni. Segnai il gol salvezza contro il Brescia di Hamsik. Ma a fine stagione rimasi a spasso perché la Triestina non venne iscritta alla B e io rimasi un po’ spiazzato. Tutti in ritiro quell’estate e io a casa. Gli amici dello stabilimento balneare Le Nereidi mi tennero sulla corda fino ad agosto con partitelle e mangiate serali. Ricordo che quando mi chiamò il Grosseto avevo cinque chili in più».
Se non avesse fatto il calciatore?
«Avendo mio padre nel settore dell’edilizia, magari mi sarei buttato in quel mondo. Lo studio non era il mio forte…».
C’è un rimpianto che si porta dietro?
«No, prendo tutto quello che ho fatto come un qualcosa che mi sono guadagnato. Il sogno era ed è la serie A, quello di ogni bambino. Ma non per questo non sono soddisfatto della mia carriera. Il bivio? L’anno che ero a Lanciano e potevo andare a Carpi in serie A, mi voleva Castori. Avrei esaudito il sogno, perché sull’almanacco sarebbe comparso Mammarella in serie A, ma non me la sentivo di lasciare Lanciano».
Qual è l’allenatore a cui è più legato?
«Roberto D’Aversa (conosciuto ai tempi della Virtus lanciano e ora alla guida del Parma, ndr), sia a livello umano che professionale«.
La serie C oggi com’è?
«L’anno scorso ho fatto il girone A, con la Pro Vercelli, e devo dire che, tolte le prime quattro-cinque in classifica, la qualità era bassa in generale. Quest’anno, invece, nel girone C posso testimoniare che si gioca forte, su campi difficili e con sfide sempre avvincenti. E’ una serie C che assomiglia alla C1 di dieci anni fa».
Lo stadio che le piace di più?
«Il San Nicola di Bari, l’impatto del grande stadio con decine di migliaia di spettatori sugli spalti è devastante. Colpisce. Però, a ben vedere anche al Barbera di Palermo dà gusto giocare a calcio».
Che cosa farà da grande?
«Non ho programmi prestabiliti. Non è nei miei pensieri. Cerco, però, di rubare qualcosa dagli allenatori e dai dirigenti che incrocio sul mio cammino. Per il carattere che ho, mi vedo più dietro la scrivania a cercare di incidere sull’organizzazione di una società che a fare l’allenatore. Quando smetterò capirò di preciso che cosa farò da grande».
Il giocatore più forte con cui ha giocato?
«Leonardo Pavoletti (ora al Cagliari, ndr), si vedeva che aveva qualità. E comunque anche Spinazzola (ora alla Roma, ndr) aveva un motore diverso da quello degli altri».
L’avversario che l’ha fatto impazzire?
«Andrea Gessa (ex Pescara e grosseto e ora team manager del Pescara, ndr), un esterno vecchio stampo. Faceva tutta la fascia, era lineare ma difficile da contenere».
@roccocoletti1.

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