Al centro Gino Bartali con Alessandro Fantini durante le feste di settembre nel 1953

L’Abruzzo ricorda i miti Bartali e Fantini 

Oggi la ricorrenza della morte di due leggende del ciclismo: 20 anni dalla scomparsa di Ginettaccio e 59 da quella di Alessandro

FOSSACESIA. È il giorno del ricordo per il ciclismo. Oggi ricorre il ventennale della morte di Gino Bartali, uno dei due simboli italiani, insieme a Fausto Coppi, del mondo delle due ruote. Un’icona che nemmeno il tempo ha usurato. Sempre il 5 maggio, ma del 1961, è morto Alessandro Fantini, il corridore di Fossacesia vittima di una caduta durante una gara in Germania, a Treviri. A legarli non solo il giorno della morte, ma anche la località turistica della Costa dei Trabocchi. Fossacesia è il paese natale di Alessandro Fantini, ma è anche il posto dove Bartali amava trascorrere le vacanze fino a poche estati prima della sua morte avvenuta nel 2000, a quasi 86 anni.
Fossacesia ha intitolato a Bartali un tratto del Lungomare e a Fantini una piazza dove c’è il monumento che raffigura lo sfortunato corridore che nel frattempo, dopo essere passato professionista, si era trasferito a Brescia, laddove sono tutt’ora tumulate le sue spoglie. In paese c’è anche un’associazione sportiva che porta il nome di Alessandro Fantini, tenendo viva la memoria di un concittadino illustre che il 24 maggio 1956 arrivò in maglia rosa a Pescara nella tappa partita da Rimini. Un’apoteosi, per lui, per gli amici e i parenti, il suo ingresso allo stadio Adriatico. L’anno prossimo c’è la volontà di celebrare degnamente i 60 anni della morte. La moglie e la figlia Marina, insegnante, vivono a Brescia, mentre la sorella e i nipoti sono residenti a Lanciano.

Gino Bartali (terzo da sinistra) in posa all’uscita di un ristorante in vacanza a Fossacesia
Bartali e Fantini si conoscevano, si erano incontrati più volte negli anni Cinquanta: il Ginettaccio era agli sgoccioli di una carriera ricca di trofei e caratterizzata dall’eterno duello con Fausto Coppi; al contrario, Alessandro era all’alba di un cammino sulla bicicletta spezzato quando aveva 29 anni e prospettive luminose. C’è un’immagine (in alto a destra) che li raffigura nel 1953 durante le feste di settembre a Lanciano, l’anno prima del passaggio tra i professionisti di Fantini. L’Abruzzo è pieno di tracce di Gino Bartali: semplici passaggi o soggiorni del corridore toscano al quale la guerra ha portato via i suoi anni migliori e senza la quale il suo palmares sarebbe stato certamente più ricco. Ha vinto su strada e non, aiutando a far fuggire molti ebrei clandestinamente e portando nascosti nel telaio della sua bicicletta documenti importantissimi. L’Abruzzo, si diceva. La sua prima vittoria da professionista - il 24 maggio 1935 - è stata celebrata all’Aquila nella tappa del Giro d’Italia iniziata a Portocivitanova e terminata nel capoluogo regionale dopo 171 chilometri. Arrivo in solitario del Ginettaccio che a 21 anni staccò tutti sul Passo delle Capannelle. L’anno successivo ecco l’altro incrocio quando - il 27 maggio 1936 - indossa per la prima volta la maglia rosa: è la tappa Campobasso-L'Aquila, di 204 km. Dopo tre salite in attesa (Macerone, Rionero Sannitico, Roccaraso), Bartali attacca su quella delle Svolte di Popoli e fa il vuoto: arriva all'Aquila da solo, con 6 minuti di vantaggio sul resto del gruppo, e conquista la prima maglia rosa. Nel 1946 scrive il suo nome sull’albo d’oro del trofeo Matteotti, a Pescara. Nella testa e nel cuore di Gino Bartali l’Abruzzo ha avuto sempre uno spazio importante. Non a caso una parte delle vacanze estive le trascorreva sulle spiagge di Fossacesia. Amava l’acqua della zona e la quiete dei posti. E poi c’era l’amicizia con il compianto “Tonino re del pesce” che se lo coccolava a pranzo e a cena. Anni e anni di passeggio estivo sul lungomare con la signora e le nipotine. Tanto che, a distanza di anni, è venuto naturale intitolargli un tratto del litorale. Non passava inosservato, macché. C’è ancora chi lo ricorda con una Golf nera con la scritta Bartali sulla portiera. E poi da buon credente non poteva mancare la visita annuale al Miracolo eucaristico di Lanciano.

Bartali con Vito Taccone
A Ortona aveva stretto amicizia con il compianto scultore locale Pietro Trivilino. Un legame forte era anche quello che lo univa a Vito Taccone, il Camoscio d’Abruzzo. Per non parlare delle frequenti passerelle al Matteotti, a Pescara. Era impossibile non volergli bene, tanto generoso e forte sui pedali quanto disponibile e loquace nel raccontare a distanza di anni le sue gesta e i suoi trionfi.
@roccocoletti1.

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