De la Fuente, mito a Teramo

14 Febbraio 2011

L'ex star del Barcellona e la corsa-salvezza: «Siamo tosti»

TERAMO. Quella del madrileno incoronato re a Barcellona è una storia inconsueta e, proprio per questo, affascinante. Per spiegare come sia stato possibile infrangere il diaframma della storica rivalità tra le due metropoli della Spagna, Madrid e Barcellona, non basta il valore tecnico, sia pur rilevante, dell'atleta. La verità è semplice: devi essere uno di livello superiore per comandare in casa del nemico giurato. Rodrigo de la Fuente Morgado, che da qualche mese gioca con la Banca Tercas Teramo, di livello superiore lo è stato davvero. «Ma è giusto dire che mi hanno aiutato in tanti, soprattutto i dirigenti e i tifosi», precisa il 34enne giocatore. «Da parte mia, mi riconosco lo sforzo fatto per conoscere, capire e apprezzare la cultura catalana. Molti lì pensano all'indipendenza dalla Spagna e a tanti castillani la cosa non va giù. Io accetto e rispetto le idee di tutti. La Spagna è come l'Italia: ogni zona ha una storia ricca e profonda che, in alcuni momenti, prevale sul concetto di nazione».

Il palmares di don Rodrigo è la scintillante galleria di un museo del basket: due argenti con la nazionale agli Europei, quattro campionati spagnoli, tre coppe del re, una Supercoppa di Spagna, una Coppa Corac e una Eurolega, o meglio la Champions League della pallacanestro. Quest'ultimo trofeo, il più importante, l'ha sollevato da capitano, al Palau Sant Jordi di Barcellona, sotto gli occhi di un Lorenzo Marruganti livido di rabbia per la finale negata da un canestro irregolare di Massimo Bulleri. Era la primavera del 2003. Marruganti, ora general manager della Banca Tercas e a quel tempo dirigente della Montepaschi Siena, rosicava per l'ingiusta sconfitta patita in semifinale contro la Benetton Treviso: 65-62, («il canestro determinante era da 2 punti e non da 3», ricorda il manager).

Sono trascorsi quasi otto anni da quell'11 maggio 2003. Rodrigo de la Fuente è a Teramo per dare un altro senso alla sua carriera. La retorica sportiva parla di scudetto-salvezza quando un club deve evitare il baratro. «Alla fine, che giochi per lo scudetto o per salvarti, devi sempre scendere in campo e vincere le tue soggezioni», dice lo spagnolo. «L'esperienza mi ha insegnato la necessità di guardare sempre avanti. Qui c'è gente tosta, per nulla rassegnata all'ultimo posto in serie A. Alessandro Ramagli ci ha dato una nuova mentalità, migliore. Ma i problemi non si risolvono in un attimo. Nel Palaskà c'è un poster della Banca Tercas 2010-2011. Quando lo guardo, quasi non trovo un compagno. Ci sono stati tantissimi cambi. Anche l'allenatore è arrivato a stagione in corso, al posto di Capobianco. E, di conseguenza, siamo ancora in rodaggio, con alti e bassi da far paura: eroici contro Biella, quando abbiamo recuperato 17 punti e vinto nel supplementare; confusi contro Sassari, dove siamo stati quasi nulli».

Cinque i successi sin qui ottenuti dai biancorossi teramani. Tre in casa e due in trasferta, dove qualche giocatore si trova più a suo agio. De la Fuente scuote la testa. «Se vogliamo salvarci, dobbiamo sfruttare il fattore campo. Abbiamo già cominciato, a ben vedere: lontano dal nostro pubblico, non avremmo ribaltato la partita contro Biella. La gente crede nell'impresa, ci crede la società e ci crediamo anche noi. Contro Cantù, alla ripresa dopo la Coppa Italia, dovremo essere super. La vittoria è nelle nostre possibilità, anche se parliamo della squadra più in forma della Lega, finalista della Coppa Italia dove ha perso contro Super Siena. Se mi chiedete cosa posso dare da qui alla fine del campionato, rispondo subito di essere pronto a spremermi. Sono arrivato alla vigilia di una partita e ho giocato senza essermi mai allenato. Le cose stanno migliorando, ma ogni tanto ho qualche problemino fisico. Ci sta. Il ruolo? Posso essere impiegato guardia e ala piccola. Ma gioco dove serve perché è mio dovere mettermi a disposizione del team. Con Dejan Bodiroga, a Barcellona, giocavo guardia. Nelle giovanili, ho fatto anche il play».

Cresciuto nel Cantera Collegio San Agustìn di Madrid, è passato prima all'Estudiantes e, poi, al Fuenlabrada. Nel 1994, 18enne, ha scelto gli Stati Uniti per affinare la tecnica e temprare il fisico. Quattro anni di college (San Jacinto Junior e Washington St. Cougars) prima di una sfortunata Summer League a Portland. «A quel tempo, era più difficile per noi europei. Solo da poco gli States hanno battuto la diffidenza e gente come Bargnani, Gallinari e Belinelli, tanto per rimanere agli italiani, ha avuto modo di cimentarsi, e alla grande, con la Nba. Non ho rimpianti, ci mancherebbe. Mi ritengo un atleta e un uomo fortunato. Parlo inglese, spagnolo e italiano e mi torneranno utili quando, chiusa l'attività agonistica, dovrò dedicarmi ad altro. Non credo che farò l'allenatore, ma la mia esperienza a livello internazionale non è da gettare. A Barcellona ho vissuto 10 anni esaltanti sotto ogni punto di vista e lì vivrò insieme a mia moglie Nargisse, che ama il mare e a Madrid, che comunque è bellissima, non si sarebbe mai ambientata».

La Barcellona del basket e quella, dominante, del calcio sono legate a doppia mandata per via della formula, molto in voga nello sport spagnolo, della polisportiva. C'è anche un legame, forte, con l'Abruzzo. Manuel Estiarte, dirigente dei blaugrana, è amico per la pelle di Per Guardiola, uno degli allenatori più stimati e corteggiati del mondo. «Hanno fatto un lavoro straordinario, gli va riconosciuto», ammette Rodrigo. «So del loro amore per l'Italia, che mi è facile condividere, ma ho scoperto da pochissimo che Estiarte vive a Pescara e che, in estate, spesso ospita Guardiola. Mi sono ripromesso, con mia moglie, di fare un giro appena possibile per conoscere l'Abruzzo».

La nazionale, il Barcellona, l'Italia, gli States. Insomma, una vita di viaggi. Ho avuto la fortuna di visitare tanti posti che, facendo un lavoro normale, non avrei mai visto. Il palazzetto più bello, davvero mozzafiato, l'ho trovato a Tokio. Quello di Barcellona non è tra i migliori, ma emana un fascino unico. Profuma di storia. In Italia mi piacciono molto quelli di Treviso, Bologna, soprattutto la casa della Fortitudo, Pesaro e Teramo, che non è grande però ha calore».

Intelligente e colto, de la Fuente guarda con preoccupazione ai fatti spagnoli. «Nello sport abbiamo tanti campioni, ma nell'economia stiamo soffrendo. La disoccupazione, vicina al 20 per cento, è un problema di quasi tutte le famiglie. Credo che ne usciremo perché noi mediterranei sappiamo adattarci come nessun altro alle situazioni. La Spagna nell'economia deve fare come nello sport: investire sui giovani».

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