Il perito: Parolisi deve vedere la figlia

27 Aprile 2013

A sorpresa l’esperto del giudice ribalta il divieto scattato dopo l’ergastolo. E ora l’uxoricida chiede di ripristinare gli incontri

TERAMO. Gli adulti tacciono. I bambini parlano per gesti, per segnali che bisogna decifrare. E possono essere più sconvolgenti di ogni parola. Perché quando un processo per omicidio – prima – e una condanna – dopo– inghiotte un’esistenza, per gli altri inizia una lunga vita in una bolla. E se gli altri sono bambini tutto diventa più difficile, più complicato dei nostri tentativi di ridurre il tutto a regole classificabili, a storie ordinate e coerenti. Il caso di Melania Rea è lì a ricordarlo. Anche e soprattutto quando il perito di un giudice scrive «che è auspicabile che la figlia di tre anni riprenda gli incontri con il padre». Il padre è Salvatore Parolisi, ex caporal maggiore dell’esercito, a cui il tribunale di primo grado, nel condannarlo all’ergastolo, ha revocato la potestà genitoriale. E’il passaggio chiave di una corposa consulenza che da qualche settimana è sul tavolo del giudice tutelare Vincenza Barbalucca, il magistrato del tribunale di Nola incaricato di seguire la piccola affidata ai nonni materni.

Un passaggio che per la difesa del caporal maggiore, condannato per l’omicidio della moglie, diventa sostanza giuridica per chiedere che Parolisi possa incontrare la figlioletta in carcere. Una richiesta che i legali Federica Benguardato, Nicodemo Gentile e Valter Biscotti presenteranno nei prossimi giorni.

Il 2 dicembre del 2011 il tribunale dei minori di Napoli aveva stabilito che la piccola incontrasse il padre, all’epoca detenuto in attesa di giudizio, ogni tre settimane. Incontri in carcere che però non ci sono mai stati. Un mese dopo quel provvedimento, infatti, il giudice tutelare aveva sospeso le visite stabilendo una consulenza psicologica per la piccola. Per settimane una psicologa ha seguito la bambina sia durante la permanenza in casa della famiglia Rea e sia durante le giornate che lei trascorre a casa della sorella di Parolisi e che sono quelle in cui può sentire telefonicamente il padre. Perchè, subito dopo l’arresto, il tribunale dei minori ha concesso al caporal maggiore di parlare al telefono con la figlia una volta alla settimana. E il perito annota proprio come durante queste telefonate la piccola baci il telefono da cui sente la voce del padre. Un fatto. Perchè una perizia è un affare complesso, perchè trasformare emozioni e sentimenti in tecnicismi giuridici è complicato, perchè oggi un omicidio è un caso chiuso solo con una sentenza definitiva di condanna. Intanto alla vigilia del processo d’appello, il caporal maggiore Parolisi trascorre le sue giornate nel carcere di Castrogno tra lezioni di agraria e di inglese. Il sabato recita il rosario con gli altri detenuti. Si prepara d affrontare il secondo grado perchè, dicono i suoi legali, «non si arrende e sa che prima o poi la verità verrà fuori».

Perchè lui, nell’unica volta che ha parlato di fronte ad un tribunale (il Riesame dell’Aquila) ha sempre detto di non aver ucciso la moglie, di averla vista sparire sul pianoro di Colle San Marco in cerca di un bagno. La verità processuale, almeno quella di primo grado, ha invece stabilito che l’omicida è lui. Per il tribunale di Teramo è lui che il 18 aprile di due anni ha ucciso la mamma di sua figlia con 35 coltellate nel bosco di Ripe, lasciandola agonizzante mentre la bambina dormiva in macchina. Il resto è la solitudine che si prova di fronte all’oceano delle parole, quelle giuste per continuare a raccontare.

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