«La Concordia non è stata la mia tomba»

Parla il giuliese Orsini scampato alla morte con la moglie e la figlioletta. Dopo 20 mesi vede in Tv la nave che riaffiora

GIULIANOVA. Incollati alla tv durante le operazioni di riassetto della Costa Concordia, riaffiorano i ricordi di chi ha vissuto in prima persona quella tragica notte, sulla nave da sogno che poteva diventare la loro tomba. «Se non lo vivi non puoi capire, ma prima o poi devo tornarci in crociera», esordisce nel racconto il giuliese Massimo Orsini, a bordo della Concordia insieme alla moglie Margherita e alla figlia di tre anni Aurora quando la nave è colata a picco. «Era la prima crociera della nostra vita e ci eravamo imbarcati da circa due ore, a Civitavecchia. La nave era bellissima, enorme. Tanto che mia moglie, durante una passeggiata sul ponte, si è chiesta come avesse fatto il Titanic ad affondare, senza sapere che quel destino sarebbe toccano a noi non più di un’ora più tardi».

Erano circa le 20 quando la famiglia giuliese, che si trovava a cena nel piano ristorante, ha sentito il terribile boato. «Ci siamo guardati», racconta Orsini, «abbiamo capito immediatamente che era successo qualcosa di grave. Il ristorante si trovava ai piani sotterranei e non vedevamo fuori. Ho preso mia moglie e mia figlia e le ho portate sul ponte, sul punto più alto della nave. Lì l’equipaggio ci ha però impedito di uscire fuori, quindi non sapevamo la distanza dalla costa. Se ci troviamo in mare aperto», ho pensato, «è la fine, siamo morti». Momenti di panico e la paura stampata negli occhi dei passeggeri che cercavano di portarsi in salvo.

«Noi non avevamo assistito a nessuna esercitazione in caso di naufragio», prosegue il giuliese, «quindi non sapevamo che fare. La paura maggiore era per mia figlia, che aveva solo tre anni, e che mi guardava senza capire cosa stesse succedendo. Quando siamo tornati non ha, praticamente, dormito per una settimana. Adesso, a distanza di due anni, nemmeno ricorda più».

Quando però il giuliese alza lo sguardo vede la montagna, dove la nave si è incagliata. «Non potevo credere che il comandante», dice Orsini, «fosse entrato nel porto con tutta la nave! La colpa», sostiene il giuliese, «è tutta di Schettino, per di più già in salvo su una scialuppa. A prescindere dall’aver fatto quella manovra azzardata», continua l’uomo, «non doveva far passare un’ora prima di dare il via alle operazioni di soccorso. A posteriori abbiamo saputo che aveva abbandonato la Concordia. Noi tutti sapevamo che la nave stava affondando, si porterà i morti sulla coscienza. Oggi», sottolinea, «io posso raccontare quell’esperienza, noi siamo tornati a casa, ma non tutti possono dire la stessa cosa».

Il ricordo è vivido nella mente, benché la paura ormai sia sfumata, anche se rimane la consapevolezza di aver sfiorato la morte. «Ho deciso di non fare causa alla Costa Concordia», conclude Massimo Orsini, «Abbiamo accettato la cifra che ci hanno offerto, 40mila euro. Eravamo saliti da poco, non abbiamo nemmeno fatto in tempo a goderci la vacanza. Poi la compagnia ci ha assistiti in tutto: ci ha fornito la macchina per tornare a casa, ci ha rimborsato del bagaglio perso e ha anche pagato lo psicologo, anche se poi mia figlia non ne ha avuto più bisogno».

Margherita Totaro

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