Navarra: «Inutili nuove strade senza una ricettività adeguata»
Per il presidente del Parco il problema non è la viabilità ma bisogna rendere più attrattiva l’area «In certi comuni non c’è neanche il metano, chi investe qui parte dal più 400 per cento dei costi»
TERAMO. L’opportunità offerta dal cosiddetto Recovery plan ha riacceso il dibattito sul rilancio del turismo montano in provincia. Sul tema sono stati presentati da varie amministrazioni pubbliche ambiziosi progetti di nuove infrastrutture viarie accomunate dal luogo di arrivo, Prati di Tivo: una strada dall’A24, un trenino a cremagliera da Forca di Valle, una funivia da Montorio. Gli ambientalisti hanno stroncato tutto in partenza, la Regione ha espresso perplessità e gli operatori turistici dei Prati hanno detto che vorrebbero la strada, la quale invece è stata bocciata dal sindaco di Montorio – che ha bacchettato la Provincia. Tutto ok, o quasi. Perché finora il Parco nazionale Gran Sasso-Laga, l’ente che su quei luoghi esercita azione di tutela, aveva taciuto. Il presidente Tommaso Navarra, interpellato dal Centro, non si sottrae e nell’intervista in sostanza ribalta il discorso: per lui il problema della montagna teramana non è il viaggio, ma la destinazione.
Navarra, cosa pensa di questo dibattito sui progetti per la montagna?
«Una discussione è utile se però parte dai dati concreti di analisi delle esigenze del territorio, un territorio che proprio a Prati di Tivo ha espresso nel tempo delle eccellenze. L’hotel Miramonti negli anni Settanta era la Cortina dell’Italia centrale: perché la gente partiva da Roma con i mezzi dell’epoca e le strade dell’epoca per fermarsi una settimana-dieci giorni al Miramonti? Perché c’era una residenzialità di qualità. E perché oggi non c’è più il Miramonti? Ad esempio perché non c’è il metano. Io ho posto su tutti i tavoli in quattro anni il problema del metano, qualsiasi struttura ricettiva su quel territorio parte dal più 400 per cento del costo energetico. Questa è la priorità vera, perché determina anche una migliore residenzialità privata. Sul nostro versante d’inverno c’è uno spopolamento anche dei residenti per il costo enorme del riscaldamento delle abitazioni. Pietracamela, Crognaleto e Fano Adriano sono tra gli ultimi comuni rimasti senza metano in Abruzzo».
Dunque secondo lei non c’è un problema di viabilità?
«No. E questo ci porta a dire che tipo di turismo vogliamo. Noi siamo per un turismo di comunità, connesso con i cosiddetti paesaggi culturali. Un attraversamento veloce, di giornata, che sarebbe favorito dalla nuova strada A24-Prati, non è un approccio utile, porta solo un inquinamento aggiuntivo. E poi, occhio: se noi andiamo a Fonte Cerreto, sull’altro versante del Gran Sasso alla stessa altitudine, troviamo una sbarra: la strada, per il rischio slavine, d’inverno è chiusa e viene riaperta con il disgelo. Siamo sicuri che fare una strada che sale a 1600 metri sia funzionale alle esigenze del territorio? Chi la presidia e chi la manutiene, chi sostiene i costi? Rigopiano ci ha insegnato qualcosa o no? In realtà modello del Nord come l’alpe di Siusi non è che pensano di fare nuove strade, le strade che ci sono vengono chiuse alle 10. Dobbiamo fare tutto tranne che portare le macchine».
Cosa pensa del trenino e della funivia?
«Il trenino a cremagliera strutturalmente è un’opera ancora più impattante e poi c’è il problema dei costi di gestione, sempre che si possa tecnicamente fare. Quanto alla funivia da Montorio, mi pare l’idea con minore impatto: lì si fa un ragionamento di riuso del territorio perché partirebbe dall’ex fornace Di Carlantonio e intercetterebbe un turismo che lascia lì la macchina e salirebbe in quota con funivia. Certo, però, pone anch’essa problemi di gestione e, in un’area protetta, anche d’impatto e fattibilità. Ma, in ogni caso, anche se ci fossero tutte e tre le strutture di cui parliamo, la gente la portiamo su per metterla dove? Dev’essere valida la ricettività, servono strutture di qualità in un ambiente che resti integro anche paesaggisticamente».
Ma forse la ricettività manca soprattutto perché negli ultimi decenni è venuta sempre meno gente.
«Se la ricettività manca non è certo colpa degli operatori, senza metano non ce la fanno. Gli operatori attuali sono degli eroi a stare ancora aperti, ma loro stessi mi dicono che l’eventuale nuova strada rimarrebbe chiusa per mesi. Il problema non è l’accessibilità: prima rendiamo realmente attrattive queste realtà. Non mi risulta che ci sia gente che non viene per la strada attuale, e guardate il Ceppo: lì abbiamo riaperto il rifugio ed è venuta tanta gente anche se la strada è sempre la stessa».
Dunque, cosa si dovrebbe fare?
«Ci vuole una cabina di regia che metta in ordine le priorità, che per me sono: 1) ridurre i costi dell’energia e attivare un sistema fiscale di vantaggio per le aree interne; 2) la reimmissione nel mercato della cosiddetta “mano morta”, il 40% del patrimonio immobiliare in zona Parco è abbandonato e frazionato in rivoli familiari non più ricostruibili, ci vogliono norme ad hoc per sbloccarlo. I fondi della ricostruzione post-sisma li utilizzerei in parte per indennizzare i proprietari che non vivono più qui, i soldi per ricostruire li darei a chi vuole fare un investimento su quegli immobili; 3) migliorare l’infrastruttura tecnologica, in alcune zone ancora non vedono Rai 3 per non parlare del digitale; 4) i servizi ecosistemici: quanto valgono l’aria pulita e l’acqua pulita del nostro territorio? Il territorio è l’unica risorsa che ci è rimasta e allora bisogna aprire una vertenza con l’Enel per consentirci di mettere a sistema tutte le opere che ha, ad esempio tutta la rete sentieristica che al momento non manutiene nessuno; 5) abbiamo disseminato il territorio di siti per l’accoglienza post-sisma, strutture non adeguate a una sistemazione definitiva e che dovranno essere dismesse a meno che non partiamo da lì per una diversa fruibilità di turismo giovanile, per fare una rete di ostelli e di villaggi a costi adeguati che si darebbero in gestione a cooperative locali».
Ma se una di queste nuove opere viarie dovesse essere finanziata, cosa farebbe il Parco?
«Più la struttura è impattante, più è difficile la realizzazione in una zona che è a protezione speciale e che potrebbe intercettare dei siti d’interesse comunitario. Quando vedremo il progetto valuteremo, di certo il Parco è un ente di gestione per conto dell’Europa e deve per forza rispettare certe norme di tutela. Ma poi, veramente pensate che l’Europa ci dia il finanziamento per una strada che passa in una zona di protezione speciale quando l’Unione non fa altro che parlare di green economy e investimenti sostenibili?».
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Navarra, cosa pensa di questo dibattito sui progetti per la montagna?
«Una discussione è utile se però parte dai dati concreti di analisi delle esigenze del territorio, un territorio che proprio a Prati di Tivo ha espresso nel tempo delle eccellenze. L’hotel Miramonti negli anni Settanta era la Cortina dell’Italia centrale: perché la gente partiva da Roma con i mezzi dell’epoca e le strade dell’epoca per fermarsi una settimana-dieci giorni al Miramonti? Perché c’era una residenzialità di qualità. E perché oggi non c’è più il Miramonti? Ad esempio perché non c’è il metano. Io ho posto su tutti i tavoli in quattro anni il problema del metano, qualsiasi struttura ricettiva su quel territorio parte dal più 400 per cento del costo energetico. Questa è la priorità vera, perché determina anche una migliore residenzialità privata. Sul nostro versante d’inverno c’è uno spopolamento anche dei residenti per il costo enorme del riscaldamento delle abitazioni. Pietracamela, Crognaleto e Fano Adriano sono tra gli ultimi comuni rimasti senza metano in Abruzzo».
Dunque secondo lei non c’è un problema di viabilità?
«No. E questo ci porta a dire che tipo di turismo vogliamo. Noi siamo per un turismo di comunità, connesso con i cosiddetti paesaggi culturali. Un attraversamento veloce, di giornata, che sarebbe favorito dalla nuova strada A24-Prati, non è un approccio utile, porta solo un inquinamento aggiuntivo. E poi, occhio: se noi andiamo a Fonte Cerreto, sull’altro versante del Gran Sasso alla stessa altitudine, troviamo una sbarra: la strada, per il rischio slavine, d’inverno è chiusa e viene riaperta con il disgelo. Siamo sicuri che fare una strada che sale a 1600 metri sia funzionale alle esigenze del territorio? Chi la presidia e chi la manutiene, chi sostiene i costi? Rigopiano ci ha insegnato qualcosa o no? In realtà modello del Nord come l’alpe di Siusi non è che pensano di fare nuove strade, le strade che ci sono vengono chiuse alle 10. Dobbiamo fare tutto tranne che portare le macchine».
Cosa pensa del trenino e della funivia?
«Il trenino a cremagliera strutturalmente è un’opera ancora più impattante e poi c’è il problema dei costi di gestione, sempre che si possa tecnicamente fare. Quanto alla funivia da Montorio, mi pare l’idea con minore impatto: lì si fa un ragionamento di riuso del territorio perché partirebbe dall’ex fornace Di Carlantonio e intercetterebbe un turismo che lascia lì la macchina e salirebbe in quota con funivia. Certo, però, pone anch’essa problemi di gestione e, in un’area protetta, anche d’impatto e fattibilità. Ma, in ogni caso, anche se ci fossero tutte e tre le strutture di cui parliamo, la gente la portiamo su per metterla dove? Dev’essere valida la ricettività, servono strutture di qualità in un ambiente che resti integro anche paesaggisticamente».
Ma forse la ricettività manca soprattutto perché negli ultimi decenni è venuta sempre meno gente.
«Se la ricettività manca non è certo colpa degli operatori, senza metano non ce la fanno. Gli operatori attuali sono degli eroi a stare ancora aperti, ma loro stessi mi dicono che l’eventuale nuova strada rimarrebbe chiusa per mesi. Il problema non è l’accessibilità: prima rendiamo realmente attrattive queste realtà. Non mi risulta che ci sia gente che non viene per la strada attuale, e guardate il Ceppo: lì abbiamo riaperto il rifugio ed è venuta tanta gente anche se la strada è sempre la stessa».
Dunque, cosa si dovrebbe fare?
«Ci vuole una cabina di regia che metta in ordine le priorità, che per me sono: 1) ridurre i costi dell’energia e attivare un sistema fiscale di vantaggio per le aree interne; 2) la reimmissione nel mercato della cosiddetta “mano morta”, il 40% del patrimonio immobiliare in zona Parco è abbandonato e frazionato in rivoli familiari non più ricostruibili, ci vogliono norme ad hoc per sbloccarlo. I fondi della ricostruzione post-sisma li utilizzerei in parte per indennizzare i proprietari che non vivono più qui, i soldi per ricostruire li darei a chi vuole fare un investimento su quegli immobili; 3) migliorare l’infrastruttura tecnologica, in alcune zone ancora non vedono Rai 3 per non parlare del digitale; 4) i servizi ecosistemici: quanto valgono l’aria pulita e l’acqua pulita del nostro territorio? Il territorio è l’unica risorsa che ci è rimasta e allora bisogna aprire una vertenza con l’Enel per consentirci di mettere a sistema tutte le opere che ha, ad esempio tutta la rete sentieristica che al momento non manutiene nessuno; 5) abbiamo disseminato il territorio di siti per l’accoglienza post-sisma, strutture non adeguate a una sistemazione definitiva e che dovranno essere dismesse a meno che non partiamo da lì per una diversa fruibilità di turismo giovanile, per fare una rete di ostelli e di villaggi a costi adeguati che si darebbero in gestione a cooperative locali».
Ma se una di queste nuove opere viarie dovesse essere finanziata, cosa farebbe il Parco?
«Più la struttura è impattante, più è difficile la realizzazione in una zona che è a protezione speciale e che potrebbe intercettare dei siti d’interesse comunitario. Quando vedremo il progetto valuteremo, di certo il Parco è un ente di gestione per conto dell’Europa e deve per forza rispettare certe norme di tutela. Ma poi, veramente pensate che l’Europa ci dia il finanziamento per una strada che passa in una zona di protezione speciale quando l’Unione non fa altro che parlare di green economy e investimenti sostenibili?».
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