Parolisi contatta i trans dopo il delitto

Messaggi inviati il giorno del ritrovamento di Melania, il legale dei Rea: movente da rivedere
TERAMO. Il computer di Salvatore Parolisi svela che la mattina del 20 aprile, due giorni dopo il delitto e mentre tutti cercavano Melania, il caporal maggiore chattava con i trans. La scoperta di quei contatti - recuperati dai carabinieri del Ros nella memoria del pc del marito di Melania - consegna nuovi indizi e consente al legale della famiglia Rea di delineare ombre inquietanti. Mauro Gionni è chiaro: «Questa scoperta può essere stata fatale per Melania che può aver minacciato di riferirlo all'esercito con la conseguenza della perdita di lavoro».
MELANIA SAPEVA? Il legale della famiglia Rea, che ieri mattina si è presentato in procura per fare le copie di tutti gli atti già depositati, ipotizza che Melania potrebbe aver scoperto quei contatti qualche settimana prima del delitto, forse in un momento in cui Parolisi aveva lasciato incustodito il suo pc. «Forse Melania sapeva, forse aveva scoperto qualcosa che non riguardava solo il fine settimana che Parolisi doveva trascorrere ad Amalfi con la sua amante», dice Gionni, «forse aveva scoperto che il marito chattava con dei trans e per questo potrebbe averlo minacciato di riferire tutto all'esercito con la conseguenza della perdita di lavoro. Ma la cosa che inquieta è che anche il 20 aprile, giorno della scoperta del cadavere, Parolisi chatta con i trans mostrando disinteresse per la ricerca della moglie».
LE RIVELAZIONI. Ai pm teramani Davide Rosati e Greta Aloisi le nuove rivelazioni servono per puntellare ulteriormente l'impianto accusatorio che sostiene il movente passionale, laddove le indagini rivelano un matrimonio ormai in frantumi, finito sotto i colpi di bugie e tradimenti. Non solo quelli con Ludovica, l'amante soldatessa con cui Parolisi comunicava su Facebook con il nome "Vecio alpino", ma anche quelli virtuali con i trans con cui, dicono gli esperti dei Ros, il caporal maggiore chattava con il suo computer portatile con il nick name "Corpo a corpo". Dalla sua abitazione, ma anche dalla Clementi di Ascoli, la caserma in cui il marito di Melania addestrava reclute donna. Contatti e messaggi cancellati che gli esperti del Ros hanno ripescato nella memoria del pc. In un'inchiesta così complessa non ci si può permettere di tralasciare nulla: la procura lo sa e per questo prima di chiedere il giudizio immediato ha ricomposto l'intricato puzzle rimettendo insieme tutti i tasselli. A cominciare dal telefonino di Melania, uno degli indizi chiave del caso. I periti hanno accertato che il 18 aprile, giorno del delitto, il cellulare della vittima ha agganciato solo la cella di Ripe e non quella di Colle San Marco. Non solo. La perizia ha stabilito che quel telefonino è stato spostato: non dall'assassino, ma da chi ha scoperto il cadavere. Forse lo stesso telefonista, rimasto anonimo, che nel primo pomeriggio del 20 aprile ha dato l'allarme da una cabina telefonica. Secondo i tecnici il telefono della vittima, quando ha ricevuto le chiamate e gli sms dell'amica Sonia, non era nel punto in cui è stato ritrovato ma dietro alla casetta di legno che ha attutito il passaggio delle onde elettromagnetiche e quindi ha impedito all'apparecchio di essere raggiungibile. Ed è qui che è caduto alla vittima nel momento in cui è stata aggredita alle spalle.
VERSO IL RITO ABBREVIATO. Il 27 febbraio è il giorno dell'inizio del processo. Ma il 7 febbraio scadono i quindici giorni di tempo che la difesa di Salvatore Parolisi ha per chiedere ad un altro giudice un eventuale rito abbreviato. Un rito che, in caso di condanna, consente di avere la riduzione di un terzo della pena. Nei giorni scorsi gli avvocati Valter Biscotti, Nicodemo Gentile e Federica Benguardato hanno ventilato l'ipotesi di un abbreviato condizionato a 2 perizie.
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