Provincia, Teramo rischia di sparire

Sarà annessa all’Aquila. Catarra: un’aberrazione. Gli industriali: per noi va bene. Lo storico: torniamo al 1600

TERAMO. «Più che accorpamento mi sembra si tratti di un’annessione alla Provincia dell’Aquila». Il presidente della Provincia di Teramo, Valter Catarra, di ritorno dall’assemblea nazionale dell’Upi riporta notizie non buone. Pare che governo vada avanti con il disegno di dimezzare il numero delle Province, basandosi su criteri puramente numerici (minimo 350 mila abitanti, minimo 3mila chilometri quadrati, minimo 50 Comuni). Se ne discuterà nel consiglio dei ministri di lunedì, quando si varerà il decreto sulla spesa.

In Abruzzo saranno sacrificate le Province di Teramo e Pescara. E i teramani diventano aquilani. «Un'aberrazione per ovvie ragioni storiche, geografiche, territoriali e socio-economiche: si vanno ad eliminare le due Province che rappresentano il motore e il cuore pulsante dell'Abruzzo; ve lo immaginate il Comune di Teramo in provincia dell'Aquila o il Comune di Pescara in provincia di Chieti? Se un accorpamento è pure pensabile per l'area metropolitana Pescara-Chieti, appare del tutto improponibile per Teramo e L'Aquila», incalza un contrariato Catarra.

«Gli accorpamenti impossibili creano dei "mostri" a tavolino, non certo degli enti efficienti e funzionali alle esigenze del territorio e del cittadino. L'unica seria riforma possibile, come abbiamo ribadito anche all'assemblea, è quella tracciata dal piano presentato dalla stessa Upi. Le Province vanno riformate e non c'è alcuna levata aprioristica di scudi , ma questo può e deve avvenire solo con l'apporto determinante delle stesse e nel quadro di una seria riforma delle istituzioni di area vasta. E poi vorrei capire come sono stati scelti i criteri: come mai il numero dei Comuni e non il Pil, visto che parliamo di risolvere problemi economici?».

Gli industriali. Di parere leggermente diverso Salvatore Di Paolo, presidente di Confindustria Teramo: «Noi ci siamo espressi più volte, le Province sono un di più, non hanno più senso. Ovviamente bisogna poi ripartire in maniera razionale ed efficace tutte le competenze. Che ci sia questa fusione non mi dispiacerebbe - noi d’altronde abbiamo creato Confindustria Gran Sasso (il nuovo organismo interassociativo fra Teramo e L’Aquila, ndr) - anche se i due territori non sono affini, è evidente. Ma non deve essere un’annessione: le due Province si uniscono per avere i numeri per portare avanti gli ambiti su cui sono delegate, ma in maniera assolutamente paritaria».

Lo storico. Lo storico Adelmo Marino Pace dà un giudizio negativo sulla fusione e ripercorre i rapporti, spesso difficili, con la provincia dell’Aquila. «Ci farebbero tornare indietro a prima della dominazione spagnola», constata con amarezza. «Nel 1927 vennero creare nuove Province e Comuni e ci furono alcuni spostamenti di Comuni in altre province, Non vennero usati criteri omogenei di divisione, ad esempio fiumi o montagne. E così Teramo perse 32 Comuni. Ad esempio togliendoci Penne ci tolsero l’olio e il grano. Ma il problema di fondo è un altro, che può essere applicato anche oggi: come si può legare un gruppo di comuni che si sono riconosciuti per secoli attorno a un nucleo culturale con altri che hanno radici diverse?.Accadde già nel periodo romano, quando ci legarono nella quinta regione in urbis con il territorio ascolano, ma alla fine ci dovettero staccare. Con l’Aquila peggio che andar di notte: siamo stati per due-tre secoli sotto gli aquilani, fino al periodo spagnolo. Dal 1684 diventammo Abruzzo ulteriore primo, mentre L’Aquila era Abruzzo ulteriore secondo. Ci hanno dovuto staccare, non abbiamo caratteristiche culturali, umane, economiche comuni. Non è questione di andare d’accordo o meno, bisogna vedere che cosa ci unisce e non ci unisce nulla». Marino invita a non fare scelte affrettate: «bisogna conoscere le situazioni su cui si interviene: non possiamo ignorare la realtà della storia, sembra che non esista, ma alla fine torna a galla».(a.f.)

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