Teramo, Brucchi dice no alle unioni civili: "Non celebrerò matrimoni gay"
Il sindaco: «Rispetto la legge ma delegherò qualcuno ad applicarla, per i miei principi questi non sono matrimoni»
TERAMO. «Rispetto la legge, ma non chiamatelo matrimonio». Il sindaco Maurizio Brucchi interpreta così la norma, appena approvata in parlamento, che disciplina le unioni civili tra persone dello stesso sesso. «La legge prevede il rilascio di una dichiarazione», tiene a precisare il primo cittadino, «una coppia omosessuale potrà farla negli uffici del Comune, ma non è un matrimonio». Niente cerimonia, dunque, né sala consiliare addobbata a festa con tanto di marcia nuziale e meno che mai il sindaco con la fascia tricolore a "benedire" l'unione. «La dichiarazione può essere raccolta da un qualunque ufficiale di stato civile», spiega il primo cittadino, «per questo delegherò l'ufficio anagrafe alla raccolta delle dichiarazioni». Brucchi, insomma, non può ignorare la norma che riconosce i diritti di coppia a due persone dello stesso sesso, ma ne sminuisce il significato e la valenza ritenendola non equiparabile, almeno per gli aspetti più romantici, al matrimonio civile né tanto meno al sacramento religioso.
La sua però, tiene a precisare, non è una posizione omofobica. «Ognuno è libero di fare le proprie scelte, le rispetto e non giudico nessuno», sottolinea, «gli effetti previsti dalla legge vengono garantiti con il riconoscimento di tutti i diritti previsti». Chi, però, immagina di andarsi a "sposare" in Comune con un compagno dello stesso sesso non troverà Brucchi ad accoglierlo e a fargli gli auguri. Un consigliere comunale potrà farlo, ma non il sindaco che non più tardi di qualche mese fa ha partecipato a Roma ad una manifestazione nazionale organizzata insieme a suoi omologhi contrari al cosiddetto "decreto Cirinnà" che ha spianato la strada al riconoscimento degli unioni civili. «Ero convinto e lo sono tutt'ora che il Paese ha problemi ben più importanti di cui occuparsi», conclude, «ma rappresento lo Stato sul territorio e devo far applicare la legge pur mantenendo fermi i miei principi».
Mirella Marchese invece, vicesindaco e assessore all'anagrafe, celebrerà le unioni civili anche se i suoi convincimenti personali sono a favore della famiglia tradizionale formata da un uomo, una donna e figli nati da loro. «Credo nella sacralità della famiglia e nel tipo di unione che consegna la fede cristiana, ma sono anche un amministratore laico e oltre a rispettare la legge sono a favore della tutela dei diritti civili. I diritti dei cittadini e di due persone che si vogliono bene sono altra cosa, per cui celebrerò le unioni». L'assessore Marchese puntualizza che per il momento l'ufficio anagrafe non ha ancora ricevuto richieste da parte dei cittadini per questo tipo di unione, anche perché lo stesso ministero ancora non fornisce ai Comuni i moduli con le dichiarazioni e la formula da leggere da parte dell'ufficiale di stato civile. Si attende la definizione dei decreti attuativi.
Marchese, infine, interviene sulle unioni gay per dire la sua sulle adozioni. «Posto che i diritti vanno riconosciuti ritengo tuttavia sconcertante che sulle adozioni si parli solo del diritto e dei problemi degli adulti, ma nessuno parli dei diritti dei bambini. Io penso che un minore debba avere ben riconoscibili i ruoli educativi e affettivi di un padre e una madre. Prima discutiamo e semplifichiamo le adozioni per le coppie etero che vogliono dare affetto a quei milioni di bambini che non ne hanno. Partiamo dai bambini e dai loro diritti. Poi discutiamo del resto».
Gennaro Della Monica
Marianna De Troia
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