Da arte e storia la forza per ricostruire
Le tante suggestioni della mostra allestita a Coppito con le opere salvate dal sisma. Dalla bolla della Perdonanza alla Cronica di Buccio e poi statue e immagini di Madonne e Santi: un vero tesoro
L'AQUILA. L'avevo vista già durante il G8. Ma fra tanta gente e un bel po' di confusione non si riesce ad apprezzare la forza che sprigionano opere d'arte fuggite anche loro, nella notte del 6 aprile, dai «rifugi» che dovevano essere sicuri. Sto parlando della mostra «L'Aquila bella mai non pò perire» che resterà in allestimento fino a settembre nella scuola della Finanza. E' possibile visitarla nei week end e nel periodo della Perdonanza, a fine mese.
La storia dell'Aquila oggi è quasi tutta lì, in un grande locale della scuola della Guardia di Finanza. Gli aquilani del post terremoto assomigliano tanto al maestoso dipinto di Teofilo Patini «Bestie da soma». Quell'opera d'arte fino al 5 aprile si trovava nel palazzo della prefettura, nel grande salone dove si svolgevano appuntamenti istituzionali e le sedute del consiglio provinciale. E' dovuto «scappare» dalla furia di macerie e polvere e «rifugiarsi» a Coppito. Patini aveva raffigurato un popolo sofferente ma capace comunque di andare avanti. La scossa del sei aprile ha caricato le spalle di uomini e donne della città capoluogo d'Abruzzo di un peso immane: bisognerà rialzarsi e riprendere il cammino dopo aver pianto per i lutti e fatto la conta dei danni.
All'ingresso della mostra c'è la statua del signore di Amiternum - un ricco e potente personaggio dell'aristocrazia - che era sepolta fra le rovine di quella città romana che gli storici e gli archeologi ci raccontano essere stata un centro di potere che si estendeva con ville e monumenti imponenti dall'attuale San Vittorino fino a Coppito, proprio dove oggi c'è la scuola della Finanza. Ma sono le vicende storiche dell'Aquila, la città sorta intorno al 1250, che spuntano a ogni angolo della mostra. Ecco la bolla di Celestino V, con la quale il Papa eremita ha istituito la Perdonanza. Quel prezioso documento era custodito nella torre di Palazzo Margherita (sede del Comune dell'Aquila), conservato gelosamente per secoli dalle autorità civili. Ogni anno lasciava palazzo Margherita per 24 ore, il tempo fra l'apertura della Porta Santa di Collemaggio «ai vespri del 28 agosto» e la chiusura la sera successiva. Con quel documento (settembre 1294) il Papa che regnò pochi mesi (ufficialmente per sua scelta visto che si dimise nel dicembre del 1294), aveva invitato gli aquilani alla riconciliazione. Anche allora la città era divisa in fazioni che provocavano solo danni alle persone e alle cose e forse quell'uomo di fede capì che senza concordia non si va da nessuna parte.
Chissà, quella bolla potrebbe essere un ammonimento anche agli aquilani terremotati: a spaccare e dividere già ci ha pensato il sisma. Non è il caso di provocare altri guai. Vicino al documento che ha «fondato» la Perdonanza c'è il libro di preghiere che secondo la tradizione è appartenuto proprio a Celestino V. E fa un certo effetto pensare all'eremita che sfogliava quel manoscritto nella sua grotta scavata nel monte Morrone (vicino a Sulmona), prima di salire sul soglio di Pietro. In un angolo c'è la «Cronica» di Buccio di Ranallo. Quello esposto nella mostra a Coppito è un codice (un manoscritto) del 1520 di proprietà della Carispaq. La Cronica è il racconto in presa diretta delle vicende aquilane (fine del 1300) fatto da Buccio e che in tempi recenti il professor Carlo De Matteis ha ripubblicato con note critiche e spiegazioni storiche. Anche allora fra terremoti, guerre e malattie non c'era granché da stare allegri. Eppure fu uno dei periodi più fecondi per la città dell'Aquila, sempre orgogliosa della sua autonomia anche se spesso rimaneva vittima delle potenze straniere che scorrazzavano per l'Italia di allora.
Passando davanti alla croce processionale di Nicola da Guardiagrele (1434) si ha l'immagine della perfezione. Non c'è nulla da dire. Bisogna solo guardarla e restare per qualche minuto in contemplazione. Subito dietro ci sono le immagini dei santi protettori della città. Non tutti forse sanno che ce ne sono ben quattro: San Massimo, Sant'Equizio, San Bernardino, San Celestino V. Li ho osservati bene. E beh! Lo devo dire. Mi è venuto da chiedere loro: ma quella notte non è che vi eravate un attimo distratti? Poi ho pensato che in fondo anche loro sono stati «vittime» di quei venti secondi da incubo e sono dovuti scappare. L'urna con Celestino V è rimasta sotto le macerie della Basilica di Collemaggio anche se è stata poi «salvata» quasi intatta. Dopo la Perdonanza lascerà per un anno L'Aquila e al ritorno, a fine luglio 2010, si spera possa tornare al suo posto per sempre. Il corpo di San Bernardino è stato messo in un luogo sicuro in attesa del restauro della sua basilica. La cattedrale di San Massimo è ridotta molto male.
Quando li ritroveremo tutti e quattro al loro posto significherà che L'Aquila sarà stata ricostruita. Ma ecco altre ferite. Dalla chiesa di San Gregorio letteralmente rasa al suolo è stato salvato il quadro della Madonna che appare a San Gregorio Magno. Poi ci sono statue in pezzi, una è proprio quella di San Gregorio. In un angolo ma bene in vista, c'è la statua lignea della Madonna delle Grazie di Onna. L'emozione a quel punto si fa troppo forte. Vorrei caricarmela sulle spalle e riportarla nella mia chiesa. Ma no. Anche lei dovrà attendere. Quando tornerà sarà festa: ma senza 41 onnesi. Poco più in là la Madonna di Roio. Quanta storia e quanta fede in quella immagine. Anche il suo santuario è stato segnato dal terremoto. Vado via e rivaluto il titolo della mostra che mi era sembrato quasi una frase fatta. No, L'Aquila non può proprio perire.
La storia dell'Aquila oggi è quasi tutta lì, in un grande locale della scuola della Guardia di Finanza. Gli aquilani del post terremoto assomigliano tanto al maestoso dipinto di Teofilo Patini «Bestie da soma». Quell'opera d'arte fino al 5 aprile si trovava nel palazzo della prefettura, nel grande salone dove si svolgevano appuntamenti istituzionali e le sedute del consiglio provinciale. E' dovuto «scappare» dalla furia di macerie e polvere e «rifugiarsi» a Coppito. Patini aveva raffigurato un popolo sofferente ma capace comunque di andare avanti. La scossa del sei aprile ha caricato le spalle di uomini e donne della città capoluogo d'Abruzzo di un peso immane: bisognerà rialzarsi e riprendere il cammino dopo aver pianto per i lutti e fatto la conta dei danni.
All'ingresso della mostra c'è la statua del signore di Amiternum - un ricco e potente personaggio dell'aristocrazia - che era sepolta fra le rovine di quella città romana che gli storici e gli archeologi ci raccontano essere stata un centro di potere che si estendeva con ville e monumenti imponenti dall'attuale San Vittorino fino a Coppito, proprio dove oggi c'è la scuola della Finanza. Ma sono le vicende storiche dell'Aquila, la città sorta intorno al 1250, che spuntano a ogni angolo della mostra. Ecco la bolla di Celestino V, con la quale il Papa eremita ha istituito la Perdonanza. Quel prezioso documento era custodito nella torre di Palazzo Margherita (sede del Comune dell'Aquila), conservato gelosamente per secoli dalle autorità civili. Ogni anno lasciava palazzo Margherita per 24 ore, il tempo fra l'apertura della Porta Santa di Collemaggio «ai vespri del 28 agosto» e la chiusura la sera successiva. Con quel documento (settembre 1294) il Papa che regnò pochi mesi (ufficialmente per sua scelta visto che si dimise nel dicembre del 1294), aveva invitato gli aquilani alla riconciliazione. Anche allora la città era divisa in fazioni che provocavano solo danni alle persone e alle cose e forse quell'uomo di fede capì che senza concordia non si va da nessuna parte.
Chissà, quella bolla potrebbe essere un ammonimento anche agli aquilani terremotati: a spaccare e dividere già ci ha pensato il sisma. Non è il caso di provocare altri guai. Vicino al documento che ha «fondato» la Perdonanza c'è il libro di preghiere che secondo la tradizione è appartenuto proprio a Celestino V. E fa un certo effetto pensare all'eremita che sfogliava quel manoscritto nella sua grotta scavata nel monte Morrone (vicino a Sulmona), prima di salire sul soglio di Pietro. In un angolo c'è la «Cronica» di Buccio di Ranallo. Quello esposto nella mostra a Coppito è un codice (un manoscritto) del 1520 di proprietà della Carispaq. La Cronica è il racconto in presa diretta delle vicende aquilane (fine del 1300) fatto da Buccio e che in tempi recenti il professor Carlo De Matteis ha ripubblicato con note critiche e spiegazioni storiche. Anche allora fra terremoti, guerre e malattie non c'era granché da stare allegri. Eppure fu uno dei periodi più fecondi per la città dell'Aquila, sempre orgogliosa della sua autonomia anche se spesso rimaneva vittima delle potenze straniere che scorrazzavano per l'Italia di allora.
Passando davanti alla croce processionale di Nicola da Guardiagrele (1434) si ha l'immagine della perfezione. Non c'è nulla da dire. Bisogna solo guardarla e restare per qualche minuto in contemplazione. Subito dietro ci sono le immagini dei santi protettori della città. Non tutti forse sanno che ce ne sono ben quattro: San Massimo, Sant'Equizio, San Bernardino, San Celestino V. Li ho osservati bene. E beh! Lo devo dire. Mi è venuto da chiedere loro: ma quella notte non è che vi eravate un attimo distratti? Poi ho pensato che in fondo anche loro sono stati «vittime» di quei venti secondi da incubo e sono dovuti scappare. L'urna con Celestino V è rimasta sotto le macerie della Basilica di Collemaggio anche se è stata poi «salvata» quasi intatta. Dopo la Perdonanza lascerà per un anno L'Aquila e al ritorno, a fine luglio 2010, si spera possa tornare al suo posto per sempre. Il corpo di San Bernardino è stato messo in un luogo sicuro in attesa del restauro della sua basilica. La cattedrale di San Massimo è ridotta molto male.
Quando li ritroveremo tutti e quattro al loro posto significherà che L'Aquila sarà stata ricostruita. Ma ecco altre ferite. Dalla chiesa di San Gregorio letteralmente rasa al suolo è stato salvato il quadro della Madonna che appare a San Gregorio Magno. Poi ci sono statue in pezzi, una è proprio quella di San Gregorio. In un angolo ma bene in vista, c'è la statua lignea della Madonna delle Grazie di Onna. L'emozione a quel punto si fa troppo forte. Vorrei caricarmela sulle spalle e riportarla nella mia chiesa. Ma no. Anche lei dovrà attendere. Quando tornerà sarà festa: ma senza 41 onnesi. Poco più in là la Madonna di Roio. Quanta storia e quanta fede in quella immagine. Anche il suo santuario è stato segnato dal terremoto. Vado via e rivaluto il titolo della mostra che mi era sembrato quasi una frase fatta. No, L'Aquila non può proprio perire.