Deputati abruzzesi, l’ora delle matricole

Ginoble si emoziona, Scelli fa progetti Le mosse dei veterani Aracu e Pelino

ROMA. «Dov’è il bar?». «Il bar? Qui non si dice bar, si dice bouvette, bou-vet-te». Il veterano dipietrista Carlo Costantini scherza con la matricola Tommaso Ginoble nella sala del Transatlantico affollata di deputati. È la prima seduta della XVI legislatura e l’aria alla Camera è quella solita dei debutti. Ginoble si guarda intorno alla ricerca degli altri abruzzesi. Ma vede solo veneti, siciliani, lombardi, romani. L’Abruzzo è minoritario nelle Italie della politica. E non ama fare gruppo.

A parte Giovanni Lolli, che discute fitto con il portavoce del Pd Ermete Realacci e poi prende sottobraccio Walter Veltroni e lo trascina all’altro capo del breve corridoio, senza smettere di parlare, schivando i cronisti che si affollano attorno ai leader leghisti Roberto Maroni e Umberto Bossi.

Lanfranco Tenaglia è sprofondato nella poltrona in attesa della chiamata per il voto. Vittoria D’Incecco, in tailleur carta da zucchero, presidia il seggio nell’aula, anche se si sa già che le prime tre votazioni per l’elezione di Gianfranco Fini a presidente della Camera andranno buca e tutto sarà rimandato all’indomani.

«Sono un po’ emozionato», ammette Ginoble seguendo con lo sguardo la rossa Maria Vittoria Brambilla, «crea un po’ di sensazione vedere riuniti qui tutti gli attori della politica nazionale. Anche se appaiono in una dimensione più semplice, forse perché questo posto incute timore», e azzarda, «si sente il potere della democrazia». Ma anche la complessità delle mille stanze dell’immenso palazzo. «È come sul campo di battaglia», spiega Ginoble, «bisogna conosce i luoghi». Ecco allora la domanda obbligata: «Dov’è il bar?»

Chi ha la risposta è certamente il forzista Sabatino Aracu, a suo agio tra i broccati e i quadri settecenteschi di Montecitorio: «È la mia quarta legislatura, e pensare che quando vedevo i parlamentari con tre o quattro mandati pensavo che fossero parrucconi». Aracu ora non lo pensa più e assicura di avere rinunciato a un incarico di sottosegretario allo Sport, anche se è pronto ad assumere un ruolo politico («importante») nel gruppo: «Bah, vedevo una certa incompatibilità con la mia carica di presidente dei Giochi del Mediterraneo e di presidente di una federazione sportiva internazionale. Mi sono detto: che faccio, il controllore e il controllato? Ora però il mio amico Fabrizio Cicchitto mi ha chiesto di dargli una mano nel gruppo del Pdl».

Se Aracu rinuncia al governo, nella pattuglia del centrodestra abruzzese c’è chi spera di entrare presto nella squadra di Silvio Berlusconi. Per esempio Paola Pelino: «Si rafforzano le voci per un sottosegretariato», ammette l’imprenditrice sulmonese «ma che sarò il sottosegretario alle attività produttive l’ho letto sui giornali. Certo la cosa non mi dispiacerebbe. Voglio impegnarmi a sostenere soprattutto l’imprenditoria femminile. Basti ricordare che nella Finanziaria 2008 il mio è stato l’unico emendamento accolto per il Mezzogiorno. Intendo inoltre battermi per la mia regione, invasa dalle multinazionali. Voglio risollevare l’imprenditoria del territorio e riconsegnarla agli imprenditori abruzzesi».

In tailleur nero con camicia beige a fiori neri (ma il suo spolverino bianco con revers arancio è molto glamour) la Pelino è entusiasta dei ballottaggi. Sotto il braccio ha un fascio di giornali, li sfoglia e tira fuori la prima pagina del Centro con la vittoria di Fabio Federico a Sulmona: «Lo leggerò nell’intervallo tra le votazioni. E che dire di Roma? Per me è stato come vincere una seconda volta alle politiche».

E poi c’è l’altro sulmonese del Pdl Maurizio Scelli: «Io incarichi di governo? Non dipende da me. Ma certo posso dire di avere avuto nel passato incarichi di grande responsabilità dal punto di vista burocratico, amministrativo e anche umano. Ecco, direi che sono portato ad assumermi le responsabilità. Ma ora la responsabilità più grande è sapere di avere puntati addosso gli occhi di tutti gli abruzzesi per quello che farò. I numeri mi hanno attribuito un mandato chiaro e mi sento responsabile del futuro di questa regione». La frase di Scelli non è buttata lì a caso.

È sempre più insistente la voce che l’ex commissario straordinario della Croce Rossa sia interessato a una candidatura alle Regione nel 2010. Candidatura, tra l’altro, che era stata ventilata già nel 2005 ma poi era tramontata.
«Vedo gli avversari di sempre avvicinarsi alle posizioni di massima responsabilità», dice uno sconsolato Carlo Costantini.

Intanto da Palazzo Madama rimbalzano le voci dell’elezione di Renato Schifani a nuovo Presidente del Senato, la carica che per due anni è stata di Franco Marini. «Ha avuto più voti di quelli del suo gruppo», conta un entusiasta Fabrizio Di Stefano, alla sua prima seduta a Palazzo Madama. «Come mi sento? Forse è banale dirlo, ma ho la sensazione di essere entrato in un posto dove è passata la storia d’Italia. Ora sento la responsabilità di continuare su quel solco».

Intanto, in attesa di trovare casa, Di Stefano alloggia in un hotel in via Veneto. Lì il bar lo chiamano ancora bar. Sul cappuccino, nella via della Dolce vita, politica e Paese reale la pensano allo stesso modo.