DONNA FATTA A PEZZI A TERAMOAdele, una storia segnata dall’eroina

7 Aprile 2010

L’indagine si concentra sul mondo dei tossicodipendenti, si pensa a uno sgarro

TERAMO. Eroina. È la parola chiave della vita di Adele Mazza, e forse anche la chiave per capire la sua tragica morte. L’eroina l’ha condannata fin da giovanissima all’emarginazione sociale, alla pratica del crimine e a una perenne battaglia con forze dell’ordine e tribunali; l’eroina le ha sfasciato la famiglia; l’eroina l’ha ridotta in condizioni psicofisiche precarie. L’eroina, forse, è alla base dell’efferato delitto scoperto lunedì sera. Questa, almeno, è la prima pista seguita dai carabinieri.

Adele, forse, ha fatto uno sgarro a qualcuno del “giro”. Che l’ha uccisa d’impeto e poi ha freddamente concepito lo scempio del suo corpo, in modo da poterlo nascondere in dei banali contenitori di plastica e trasportarlo senza dare nell’occhio in un luogo isolato. È solo un’ipotesi, ma è la più probabile al vaglio degli inquirenti.

Il procuratore capo Gabriele Ferretti non si sbilancia e dice: «Ogni ipotesi è possibile». Il pm titolare del caso, Roberta D’Avolio, si sbilancia ancor meno: «Cercate di capire, ogni notizia che viene fuori può danneggiare l’indagine». Cortine fumogene scontate, in questi casi. Ma è nel mondo della tossicodipendenza teramana che i carabinieri del capitano Nazario Giuliani stanno battendo con particolare intensità. Aiutati, è il caso di sottolinearlo, dai colleghi-rivali della squadra mobile, la cui sezione narcotici vanta un patrimonio di conoscenze irrinunciabile nell’ambiente dal quale Adele Mazza non aveva mai saputo staccarsi.

Originaria di Ioanella, una sorella e due fratelli, Adele aveva compiuto 49 anni a gennaio. Era una delle tossicodipendenti storiche di Teramo: l’eroina l’aveva sedotta fin da ragazza, spingendola a commettere reati per procurarsi la dose quotidiana. I suoi precedenti con la giustizia sono tanti, in particolare per spaccio di stupefacenti e furto. Le sue vittime preferite erano gli anziani, in genere raggirati e derubati in casa loro.

È in questo ambiente d’inferno che Adele conosce il marito Gabriele Moro, anche lui in perenne guerra con la giustizia. Con lui la storia dura poco. Alla coppia resta uno strascico di ostilità e rancore, ma soprattutto un figlio. Un ragazzo difficile anche lui, tirato su dai nonni materni, affidato al padre e che la madre vedeva poco.

Adele, intanto, si era ammalata. Le avevano tolto la patente e si muoveva sempre in autobus. La madre e la sorella ogni tanto andavano a pulirle casa. Ultimamente percepiva una pensione d’invalidità, ma erano appena 250 euro al mese. Per continuare a drogarsi era costretta a vivere di espedienti. Frequentava la Caritas, dove andava a mangiare a pranzo. Fino a un anno fa diceva ai conoscenti di voler andare in una comunità di recupero insieme al figlio. Un estremo proposito di riscatto che si è infranto sulle mani spietate del suo assassino.

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