E il Novecento finì a Berlino
Vent’anni fa la caduta del Muro aprì la breve stagione delle speranze.
Sono impresse nella nostra memoria le immagini di quel novembre di venti anni fa quando l’Europa si ritrovò, quasi inavvertitamente in una nuova era. E di recente la scorsa estate il discorso del Presidente Obama ha riproposto di fronte al mondo la centralità di Berlino, il ruolo della Germania e le sfide interrotte della fine del secolo scorso. Un passaggio d’epoca che si è progressivamente caricato di aspettative e attese. La mattina del 9 novembre 1989 un ufficiale della Stasi Harald Jäger, addetto da alcuni decenni al controllo di visti e passaporti nella Germania dell’est si trova in una situazione difficilissima. Il varco che deve controllare è quello di Bornholmer Straße nel cuore di Berlino, nel vivace quartiere di Prenzlauerberg.
Circa 15 persone armate dipendono dai suoi ordini e dai suoi movimenti. L’uomo è sospeso tra ciò che vede, la folla che si avvicina ai punti di accesso verso Ovest e le informazioni e gli ordini che consigliano di prendere tempo, di non lasciarsi scappare la situazione di mano. Alla fine tra mille titubanze come ha raccontato di recente - si appresta a pronunciare delle parole che mai avrebbe pensato di poter comunicare: “aprire la sbarra, sollevatela! Fate passare tutti”. Poche frasi che quel 9 novembre segnano la fine del Novecento e l’inizio di un percorso accidentato e difficile dagli esiti ancora incerti. Alle 18.57 di quello stesso giorno in una conferenza stampa in diretta televisiva il segretario della Sed di Berlino, Günther Schabowski, riferì lapidario la posizione del consiglio dei ministri appena riunitosi: “Da adesso” i cittadini potevano liberamente muoversi da una parte all’altra della città.
Il mondo applaude in un misto di incredulità, gioia e timore per ciò che potrebbe accadere. Il muro comincia ad essere abbattuto, era in piedi dal 13 agosto 1961; i suoi pezzi entrano a far parte dei gadget di collezionisti, turisti e curiosi. Quei resti simboleggiano due grandi cesure dell’età contemporanea che si sovrappongono simultaneamente: la fine del comunismo e del suo mondo di riferimento e l’avvio dell’ultima fase, quella decisiva, che porterà alla riunificazione della Germania. Il secolo era giunto a un tornante, forse al suo imprevisto capolinea. Ma quali sono i significati e i giudizi di tale cesura? E soprattutto quante delle speranze di allora riescono a permeare e condizionare i processi e le scelte degli anni successivi? Difficile tracciare un bilancio completo e convincente. Anche gli storici hanno oscillato tra ipotesi e letture interpretative.
La prima ora porta il segno della speranza del nuovo inizio. La fine della guerra fredda avrebbe consegnato al mondo alcune certezze sulle quali poter costruire un nuovo sistema di relazioni internazionali. Così non è stato, o solo in minima parte. Gli anni del dopo muro o del post guerra fredda sono attraversati da conflitti vecchi e nuovi e da un senso di insicurezza che non corrisponde al conseguimento di un nuovo ordine internazionale. Semmai si può parlare di una tensione, una ricerca che non ha ancora trovato approdi rassicuranti. Su un altro versante la riunificazione della Germania ha prodotto in quell’area effetti dirompenti rilanciando in modo simultaneo il processo di rafforzamento e di allargamento delle istituzioni comunitarie.
Anche la lunga marcia verso la moneta unica non sarebbe ipotizzabile senza il contributo e l’impegno di una Germania ritrovata e protagonista dell’Europa del dopo muro. Qui mi sembra ci sia il punto centrale di quel 9 novembre ormai lontano. Aver contribuito a far ritrovare al vecchio continente un suo ruolo almeno potenziale, aver restituito alla parola Europa un significato pieno e univoco, aver superato quelle divisioni che dalla geografia avevano tracciato confini e appartenenze nelle mentalità e nelle culture dei diversi paesi europei. Dai padri fondatori del processo di unificazione continentale alle sfide del mondo degli ultimi due decenni: una continuità di obiettivi e propositi in un contesto che è molto diverso, per molti versi anche non paragonabile.
Oggi si alternano nostalgie e buone intenzioni; del muro sono rimaste alcune tracce all’interno della città, il confine delle due Germanie viene attraversato (ancora parzialmente) da una pista ciclabile “la striscia verde” che sostituirà la”striscia della morte” e che conduce dal Baltico ai rilievi dello Harz, per oltre seicento chilometri dell’odiosa cortina. Un percorso tra natura, piccoli musei, segni di regimi ormai dissolti, boschi, fiumi e filo spinato conduce verso una ricerca fatta di storia, memoria e geografia. Quanta distanza dai tempi del terrore, dalla incomunicabilità, dalla violenza di contrapposizioni frontali basate sul binomio amico-nemico!
Senza cedere ai facili ottimismi degli anniversari o alle letture semplicistiche della inarrestabile vittoria del bene sul male molta strada è stata percorsa, le sfide del 1989 sono ancora presenti nei destini e nelle speranze del continente europeo. Le immagini di quei giorni sono un pungolo a non cedere, a continuare il cammino verso equilibri avanzati per l’Europa e per l’intero pianeta. Altro che fine della storia nel tramonto delle ideologie. I volti e le istantanee di venti anni fa ci dicono che il secondo conflitto mondiale si era davvero concluso, aveva consumato la sua ultima imprevedibile pagina.
Circa 15 persone armate dipendono dai suoi ordini e dai suoi movimenti. L’uomo è sospeso tra ciò che vede, la folla che si avvicina ai punti di accesso verso Ovest e le informazioni e gli ordini che consigliano di prendere tempo, di non lasciarsi scappare la situazione di mano. Alla fine tra mille titubanze come ha raccontato di recente - si appresta a pronunciare delle parole che mai avrebbe pensato di poter comunicare: “aprire la sbarra, sollevatela! Fate passare tutti”. Poche frasi che quel 9 novembre segnano la fine del Novecento e l’inizio di un percorso accidentato e difficile dagli esiti ancora incerti. Alle 18.57 di quello stesso giorno in una conferenza stampa in diretta televisiva il segretario della Sed di Berlino, Günther Schabowski, riferì lapidario la posizione del consiglio dei ministri appena riunitosi: “Da adesso” i cittadini potevano liberamente muoversi da una parte all’altra della città.
Il mondo applaude in un misto di incredulità, gioia e timore per ciò che potrebbe accadere. Il muro comincia ad essere abbattuto, era in piedi dal 13 agosto 1961; i suoi pezzi entrano a far parte dei gadget di collezionisti, turisti e curiosi. Quei resti simboleggiano due grandi cesure dell’età contemporanea che si sovrappongono simultaneamente: la fine del comunismo e del suo mondo di riferimento e l’avvio dell’ultima fase, quella decisiva, che porterà alla riunificazione della Germania. Il secolo era giunto a un tornante, forse al suo imprevisto capolinea. Ma quali sono i significati e i giudizi di tale cesura? E soprattutto quante delle speranze di allora riescono a permeare e condizionare i processi e le scelte degli anni successivi? Difficile tracciare un bilancio completo e convincente. Anche gli storici hanno oscillato tra ipotesi e letture interpretative.
La prima ora porta il segno della speranza del nuovo inizio. La fine della guerra fredda avrebbe consegnato al mondo alcune certezze sulle quali poter costruire un nuovo sistema di relazioni internazionali. Così non è stato, o solo in minima parte. Gli anni del dopo muro o del post guerra fredda sono attraversati da conflitti vecchi e nuovi e da un senso di insicurezza che non corrisponde al conseguimento di un nuovo ordine internazionale. Semmai si può parlare di una tensione, una ricerca che non ha ancora trovato approdi rassicuranti. Su un altro versante la riunificazione della Germania ha prodotto in quell’area effetti dirompenti rilanciando in modo simultaneo il processo di rafforzamento e di allargamento delle istituzioni comunitarie.
Anche la lunga marcia verso la moneta unica non sarebbe ipotizzabile senza il contributo e l’impegno di una Germania ritrovata e protagonista dell’Europa del dopo muro. Qui mi sembra ci sia il punto centrale di quel 9 novembre ormai lontano. Aver contribuito a far ritrovare al vecchio continente un suo ruolo almeno potenziale, aver restituito alla parola Europa un significato pieno e univoco, aver superato quelle divisioni che dalla geografia avevano tracciato confini e appartenenze nelle mentalità e nelle culture dei diversi paesi europei. Dai padri fondatori del processo di unificazione continentale alle sfide del mondo degli ultimi due decenni: una continuità di obiettivi e propositi in un contesto che è molto diverso, per molti versi anche non paragonabile.
Oggi si alternano nostalgie e buone intenzioni; del muro sono rimaste alcune tracce all’interno della città, il confine delle due Germanie viene attraversato (ancora parzialmente) da una pista ciclabile “la striscia verde” che sostituirà la”striscia della morte” e che conduce dal Baltico ai rilievi dello Harz, per oltre seicento chilometri dell’odiosa cortina. Un percorso tra natura, piccoli musei, segni di regimi ormai dissolti, boschi, fiumi e filo spinato conduce verso una ricerca fatta di storia, memoria e geografia. Quanta distanza dai tempi del terrore, dalla incomunicabilità, dalla violenza di contrapposizioni frontali basate sul binomio amico-nemico!
Senza cedere ai facili ottimismi degli anniversari o alle letture semplicistiche della inarrestabile vittoria del bene sul male molta strada è stata percorsa, le sfide del 1989 sono ancora presenti nei destini e nelle speranze del continente europeo. Le immagini di quei giorni sono un pungolo a non cedere, a continuare il cammino verso equilibri avanzati per l’Europa e per l’intero pianeta. Altro che fine della storia nel tramonto delle ideologie. I volti e le istantanee di venti anni fa ci dicono che il secondo conflitto mondiale si era davvero concluso, aveva consumato la sua ultima imprevedibile pagina.