Fira, tre anni dopo conclusa l'inchiestaIl pm chiede il processo per 103 indagati
Secondo la procura, il meccanismo serviva a drenare soldi pubblici da elargire a società di amici e parenti attraverso la finanziaria regionale
PESCARA. Tre anni dopo gli arresti, il sostituto procuratore Andrea Papalia mette la parola fine all’inchiesta monstre sullo scandalo Fira. Con la richiesta di rinvio a giudizio firmata alla vigilia della partenza per la procura di Palmi, il pm chiede il processo per 103 indagati.
Davanti al giudice per l’udienza preliminare, vengono chiamate 64 persone persone e 39 aziende, accusate a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata alla truffa, falso, corruzione, malversazione ai danni dello Stato. Tutte coinvolte, secondo la procura, in un meccanismo costruito per drenare soldi pubblici da elargire a società di amici e parenti attraverso la finanziaria regionale: le commissioni favorivano chi non aveva i requisiti, i consulenti attestavano l’avvenuta realizzazione di progetti mai esistiti. Una maxi-truffa da 16 milioni di euro che si sarebbe consumata tra il 2002 e il 2004 grazie alla complicità di dirigenti Fira, imprenditori, professionisti, membri delle commissioni.
Nella cabina di regia di quello che la procura di Pescara definì «un vero e proprio comitato d’affari», ci sarebbe stato Giancarlo Masciarelli, che all’epoca del suo arresto con altre dieci persone, il 27 ottobre del 2006, era già da sette mesi ex presidente della Fira. L’uomo che di sè, in una intercettazione, disse: «Io non sto né di qua, né di là: sto con il partito dei soldi». «Masciarelli e i suoi soci erano riusciti a sostituirsi ai dipendenti della Regione nella gestione dei fondi. L’ente è stato esautorato ed è vittima di questa vicenda» disse il giorno del ciclone giudiziario il procuratore capo Nicola Trifuoggi.
L’ex presidente Fira è il primo di un lunghissimo elenco di indagati in cui compaiono altri nomi eccellenti: primo fra tutti, quello dell’ex assessore regionale di Forza Italia Vito Domenici, il politico che ha dato il suo nome alla legge regionale sui capannoni, la normativa che, secondo l’accusa, sarebbe stata utilizzata per fare arrivare denaro a imprese amiche. Ma al numero 44, nell’elenco di Papalia, c’è anche il nome dell’uomo destinato a innescare il grande terremoto della politica abruzzese, Vincenzo Maria Angelini, il re della sanità privata indagato per avere ottenuto dalla finanziaria regionale, nel 2004, tre fondi Docup per un totale di 300 mila euro, denaro che l’imprenditore sosterrà di avere restituito tre mesi prima «con gli interessi».
Richiesta di rinvio a giudizio anche per l’imprenditore Marco Picciotti, che secondo il pm sarebbe stato a capo di una serie di società fantasma impiegate per ottenere fondi per progetti che non si sarebbero mai concretizzati; per Vincenzo Trozzi, ex vice presidente della Fira, che avrebbe avuto un ruolo nelle società indagate; per Paolo De Michele, il ragioniere che nella sua pen drive avrebbe nascosto i conti della Fira; per Barbara Tempesta, avvocato e figlia dell’ex sindaco dell’Aquila Biagio Tempesta, coinvolta in quanto componente delle commissioni incaricate di vagliare i progetti.
Davanti al giudice per l’udienza preliminare, vengono chiamate 64 persone persone e 39 aziende, accusate a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata alla truffa, falso, corruzione, malversazione ai danni dello Stato. Tutte coinvolte, secondo la procura, in un meccanismo costruito per drenare soldi pubblici da elargire a società di amici e parenti attraverso la finanziaria regionale: le commissioni favorivano chi non aveva i requisiti, i consulenti attestavano l’avvenuta realizzazione di progetti mai esistiti. Una maxi-truffa da 16 milioni di euro che si sarebbe consumata tra il 2002 e il 2004 grazie alla complicità di dirigenti Fira, imprenditori, professionisti, membri delle commissioni.
Nella cabina di regia di quello che la procura di Pescara definì «un vero e proprio comitato d’affari», ci sarebbe stato Giancarlo Masciarelli, che all’epoca del suo arresto con altre dieci persone, il 27 ottobre del 2006, era già da sette mesi ex presidente della Fira. L’uomo che di sè, in una intercettazione, disse: «Io non sto né di qua, né di là: sto con il partito dei soldi». «Masciarelli e i suoi soci erano riusciti a sostituirsi ai dipendenti della Regione nella gestione dei fondi. L’ente è stato esautorato ed è vittima di questa vicenda» disse il giorno del ciclone giudiziario il procuratore capo Nicola Trifuoggi.
L’ex presidente Fira è il primo di un lunghissimo elenco di indagati in cui compaiono altri nomi eccellenti: primo fra tutti, quello dell’ex assessore regionale di Forza Italia Vito Domenici, il politico che ha dato il suo nome alla legge regionale sui capannoni, la normativa che, secondo l’accusa, sarebbe stata utilizzata per fare arrivare denaro a imprese amiche. Ma al numero 44, nell’elenco di Papalia, c’è anche il nome dell’uomo destinato a innescare il grande terremoto della politica abruzzese, Vincenzo Maria Angelini, il re della sanità privata indagato per avere ottenuto dalla finanziaria regionale, nel 2004, tre fondi Docup per un totale di 300 mila euro, denaro che l’imprenditore sosterrà di avere restituito tre mesi prima «con gli interessi».
Richiesta di rinvio a giudizio anche per l’imprenditore Marco Picciotti, che secondo il pm sarebbe stato a capo di una serie di società fantasma impiegate per ottenere fondi per progetti che non si sarebbero mai concretizzati; per Vincenzo Trozzi, ex vice presidente della Fira, che avrebbe avuto un ruolo nelle società indagate; per Paolo De Michele, il ragioniere che nella sua pen drive avrebbe nascosto i conti della Fira; per Barbara Tempesta, avvocato e figlia dell’ex sindaco dell’Aquila Biagio Tempesta, coinvolta in quanto componente delle commissioni incaricate di vagliare i progetti.