Il business del pomodoro a pera
Francavilla riscopre la ricchezza di una coltivazione dimenticata.
FRANCAVILLA. E’ polposo e dolce, ricco di licopene e dalla forma a pera. Con queste caratteristiche molti coltivatori sperano che il «pomodoro a pera» possa salvare i loro bilanci. E’ la sfida lanciata dall’Arssa Abruzzo e dagli agricoltori del pescarese, del teramano e del chietino, che studiano su un ortaggio in via d’estinzione, per renderlo competitivo con i prodotti più diffusi sui mercati nazionali. «Il pomodoro a pera» ha rischiato di scomparire come altre varietà coltivate ancora fino a 50 anni fa. Recuperarne la coltura potrebbe «aiutare l’economia abruzzese messa in difficoltà dalla crisi e dal terremoto». A sostenerlo è stato l’assessore regionale all’agricoltura, Mauro Febbo, durante un convegno a Francavilla al Mare, organizzato dall’Arssa Abruzzo e dalla Regione per presentare il progetto di risanamento e valorizzazione di questo tipo di pomodoro, «che potrebbe costituire», ha continuato, «una fonte di reddito integrativa per le famiglie».
Alla tavola rotonda, che ha radunato al ristorante Tenuta Querce Grosse curiosi, produttori, sindaci, assessori, ricercatori, hanno partecipato anche: il senatore Fabrizio Di Stefano, Rocco Marinucci e Roberto Di Muzio dell’Arssa, il direttore dell’Istituto sperimentale di orticoltura di Monsampolo del Tronto, Valentino Ferrari ed esponenti della Coldiretti e della cooperativa Coldif. «Lo studio è partito sei anni fa», ha spiegato Di Muzio, «con lo scopo di recuperare la coltura del “pomodoro a pera”, uno dei prodotti tipici delle colline abruzzesi, a rischio estinzione e confinato a produzioni marginali». La causa: la globalizzazione, che «standardizza le varietà mettendo in ginocchio i piccoli produttori locali. Per loro è difficile competere con le leggi del mercato e i prodotti a basso costo della grande distribuzione».
Sono centinaia gli ecotipi abruzzesi che in questo modo si sono persi, con un notevole danno, secondo Di Muzio, per l’economia locale. Unica soluzione, recuperare le tipicità e la cosiddetta «filiera corta», la catena etica del mercato costituita da produttori, commercianti e consumatori locali: «sono 50 i produttori locali delle colline di Francavilla, Miglianico, Ripa Teatina, Penne, Città S.Angelo, Loreto Aprutino, Giulianova e Roseto, che hanno intrapreso con successo la nuova coltura», ha detto Marinucci. «Più di 70.000 sono state le piantine distribuite e coltivate, ma nei prossimi due anni raddoppieranno con notevole guadagno per le aziende». Complesso il processo che ha portato al recupero del «pomodoro a pera».
«Siamo partiti nel 2002 con la ricerca dei diversi ecotipi tra gli agricoltori locali», ha spiegato Ferrari; «i semi così recuperati sono stati selezionati e sottoposti a un processo di miglioramento tramite ibridazione, ma senza ricorrere a incroci genetici e fino a individuare 9 varietà: resistenti ai parassiti, ricche di qualità organolettiche, adatte alle colture biologiche. Al momento è in via di diffusione la varietà “Giulianova”. Ora ci aspettano due anni di ulteriore miglioramento genetico, poi la valorizzazione del nostro «pomodoro a pera d’Abruzzo».
Alla tavola rotonda, che ha radunato al ristorante Tenuta Querce Grosse curiosi, produttori, sindaci, assessori, ricercatori, hanno partecipato anche: il senatore Fabrizio Di Stefano, Rocco Marinucci e Roberto Di Muzio dell’Arssa, il direttore dell’Istituto sperimentale di orticoltura di Monsampolo del Tronto, Valentino Ferrari ed esponenti della Coldiretti e della cooperativa Coldif. «Lo studio è partito sei anni fa», ha spiegato Di Muzio, «con lo scopo di recuperare la coltura del “pomodoro a pera”, uno dei prodotti tipici delle colline abruzzesi, a rischio estinzione e confinato a produzioni marginali». La causa: la globalizzazione, che «standardizza le varietà mettendo in ginocchio i piccoli produttori locali. Per loro è difficile competere con le leggi del mercato e i prodotti a basso costo della grande distribuzione».
Sono centinaia gli ecotipi abruzzesi che in questo modo si sono persi, con un notevole danno, secondo Di Muzio, per l’economia locale. Unica soluzione, recuperare le tipicità e la cosiddetta «filiera corta», la catena etica del mercato costituita da produttori, commercianti e consumatori locali: «sono 50 i produttori locali delle colline di Francavilla, Miglianico, Ripa Teatina, Penne, Città S.Angelo, Loreto Aprutino, Giulianova e Roseto, che hanno intrapreso con successo la nuova coltura», ha detto Marinucci. «Più di 70.000 sono state le piantine distribuite e coltivate, ma nei prossimi due anni raddoppieranno con notevole guadagno per le aziende». Complesso il processo che ha portato al recupero del «pomodoro a pera».
«Siamo partiti nel 2002 con la ricerca dei diversi ecotipi tra gli agricoltori locali», ha spiegato Ferrari; «i semi così recuperati sono stati selezionati e sottoposti a un processo di miglioramento tramite ibridazione, ma senza ricorrere a incroci genetici e fino a individuare 9 varietà: resistenti ai parassiti, ricche di qualità organolettiche, adatte alle colture biologiche. Al momento è in via di diffusione la varietà “Giulianova”. Ora ci aspettano due anni di ulteriore miglioramento genetico, poi la valorizzazione del nostro «pomodoro a pera d’Abruzzo».