Il diritto di sbagliare
Il fratello di una delle due vittime romagnole intende presentare un esposto in Procura: “Andavano fermati, qualcuno doveva impedire loro di salire, se è vero che le condizioni erano proibitive e c'erano dei rischi legati al maltempo”. Lo sfogo. Ma chi deve fermare una passione?
Occorre il rispetto per il dolore. Ma anche per chi è animato da passioni che da sempre spingono gli uomini verso sfide alla natura: il viaggiatore che in solitaria affronta il mare ignoto, coloro che appesi a un elastico si lanciano da un ponte di decine di metri, chi indossando tute alari prova a galleggiare nel cielo o lo scalatore che quel cielo lo vuol sfiorare dalla cima di un monte. Anche un grande dolore come quello per un fratello scomparso non deve sfociare nella retorica ricerca di un colpevole a ogni costo. La tragedia del Gran Sasso – non è la prima, non sarà l’ultima – è costata la vita a due cercatori di meraviglie.Uomini che vivevano per la montagna e con la montagna, che il pericolo potevano averlo messo in conto. Come nel 2021 era accaduto con le quattro vittime del Monte Velino. Non se la sono cercata, come ha commentato il solito cretino sui social, seduto in poltrona dietro lo schermo di un telefonino. Hanno semplicemente dato risposte alla passione.
Per questo appare frutto di un azzardo emotivo l’annunciato esposto in Procura del fratello di una delle due vittime romagnole. «Andavano fermati, qualcuno doveva impedire loro di salire, se è vero che le condizioni erano proibitive e c'erano dei rischi legati al maltempo». Lo sfogo. Ma chi deve fermare una passione? Quale arbitro può decidere chi deve salire su una montagna? I libretti di istruzioni per l’uso, al mare, in montagna, in una grotta o su un fiume, dovrebbero contenere soltanto la parola «buonsenso». L’ha spiegato bene il consigliere comunale dell’Aquila delegato alla Montagna, Luigi Faccia: «La montagna è libera e di tutti». Sottolineando che anche sul Gran Sasso, all’ingresso e all’arrivo degli impianti di risalita, esiste un cartello a ricordare che chi sale è personalmente responsabile della propria incolumità. Dalla ricostruzione fatta dai soccorritori, i due si sono avventurati pensando di compiere la traversata prima dell’arrivo della bufera. Traditi stavolta dall’amata montagna e da un errore di valutazione. Perché sono stati bloccati da un incidente (uno dei due è rimasto ferito) e quindi avvolti dalla tormenta e dal gelo. Arrivati di botto, com’è tipico del Gran Sasso, montagna tra due mari. Morti insieme, perché insieme erano partiti.
Forse i familiari dovrebbero lasciar perdere le denunce, continuando, come fatto, a rendere gloria ai generosi soccorritori che hanno messo a repentaglio le loro vite e dando ancora più spazio al ricordo di Cristian e Luca. Vittime di una passione e di un errore. Ma il diritto di sbagliare esiste, non toglietecelo.