Latorre: il Pd si scusi con Del Turco

Il senatore del Partito democratico: il lavoro della sua giunta andava difeso
PESCARA. «Io credo che il Pd abbia il dovere di chiedere scusa a Ottaviano Del Turco, perché con più forza bisognava comprendere anche l'ingiustizia che stava subendo e le conseguenze umane di una vicenda così complessa». Alla vigilia della nuova udienza per lo scandalo della Sanità, Nicola Latorre, vice presidente dei senatori del Pd, spiega perché, con l'ex presidente della Regione, il partito fu quantomeno «frettoloso».
Lo aveva detto a Roma nel corso di un dibattito promosso da Reti e Libertiamo.it. «Chiedo scusa a Ottaviano Del Turco per l'uso improprio che si è fatto di una vicenda ai danni di una persona sulle cui qualità morali non ho alcun dubbio». Ora lo ripete con convinzione.
Senatore, lei crede che il Pd abbia commesso errori nella vicenda Del Turco?
«Io penso che il Pd non debba farsi perdonare nulla, perché - tranne che per casi singoli - credo che il partito abbia avuto un atteggiamento di grande rispetto. Fassino, Marini, Legnini hanno fatto dichiarazioni, cercato di far sentire la propria vicinanza. Semmai il Pd doveva avere il coraggio di difendere il lavoro della giunta, doveva essere meno frettoloso nel chiedere lo scioglimento anticipato consegnando così la Regione alla destra».
Lei ne ha parlato durante un dibattito dedicato al «processo mediatico». È il caso di Del Turco?
«La verità che conta è quella processuale, che si deve nutrire di fatti e non di emozioni, mentre noi siamo a un punto in cui le sentenze possono essere emesse con il televoto. Questo carico mediatico produce l'effetto che, se le sentenze non giungono all'approdo che si è consolidato nella convinzione, diventa "giustizia tradita". In questo contesto si inserisce la riflessione su Del Turco: col senno di poi, si scopre che la sua giunta si stava preoccupando di moralizzare in un settore in cui in precedenza si erano consumate scelte politicamente e moralmente discutibili».
Lei dice: la verità che conta è quella processuale. Il processo però non si è ancora concluso.
«Ha ragione. Ma io propongo riflessioni di carattere squisitamente politico. Quelle giudiziarie è giusto che le svolgano i giudici. Non vorrei cadere nell'errore speculare: di usare i media per condizionare, perché credo che la forza dei fatti è quella che deve trionfare. Ma do un giudizio politico: dico che la giunta Del Turco era molto migliore di quella che l'ha preceduta e molto migliore di quella che l'ha seguita».
La procura sostiene però che i tagli furono obbligati da politiche nazionali di contenimento della spesa.
«Il lavoro che la giunta stava portando avanti non era figlio della costrizione e del governo centrale, ma era una scelta politica giusta. Peccato che questo percorso sia stato così drammaticamente interrotto e sono fiducioso nel fatto che gli abruzzesi si rendano conto di quanto di negativo questo cambio abbia comportato e di quanto sia auspicabile un cambiamento di rotta. E sul piano personale io credo che le imprudenti affermazioni di qualche esponente del partito abbiano offuscato la posizione del Pd che oggi deve riconoscere politicamente il ruolo e la funzione avuta da Del Turco. Dopodiché la giustizia faccia il suo corso».
La sua è un'idea condivisa dal resto del partito?
«Quando devo esprimere un'opinione di cui sono convinto non faccio verifiche».
Ne ha parlato con Ottaviano Del Turco?
«No. Ma ho espresso le mie opinioni anche durante quella vicenda, evidentemente con toni più bassi di quelli che esprimevano opinioni diverse. Credo però che lui le conosca».
Lei ritiene che il Pd dovrebbe cercare di "recuperare" l'ex governatore?
«Con la stessa sincerità e affetto con cui ho chiesto scusa, dico che credo che politicamente la sua scelta di distaccarsi dal centrosinistra sia compresibile dal punto di vista umano, ma sbagliata dal punto di vista politico: mi auguro che cambi, anche perché la sua è una storia personale e politica che ci appartiene e che dovrebbe continuare ad appartenerci».
Durante la prima udienza preliminare, del Turco ha detto l'"operazione" contro di lui era stata diretta da "una parte importante del Pd che sta sparendo". Un'accusa pesante.
«Credo che anche questo sia un giudizio affrettato».
A chi si riferiva?
«Non so, bisognerebbe chiedere a lui».
Lei parla di uso politico della giustizia. Che cosa intende?
«Si è fatto un uso politico della giustizia tanto a destra quanto a sinistra. Il campione è proprio Berlusconi che, in questi anni, ha prima cavalcato in modo spregiudicato la vicenda di Mani pulite, poi in modo più insidioso la sua polemica con la magistratura. L'ha fatto per alimentare la divisione del Paese, usando, per tutelare i propri interessi personali, il malessere profondo rispetto a una giustizia che non funziona. Speculare a questo c'è l'atteggiamento di chi ha usato la domanda di pulizia difendendo in maniera acritica anche scelte spesso discutibili e attestandosi nella difesa dello status quo. E affidando all'operato dei magistrati compiti che non sono della magistratura».
Adesso Silvio Berlusconi torna a parlare di riforma della giustizia, si ipotizzano pubblici ministeri sotto il potere esecutivo. Cosa ne pensa?
«Berlusconi annuncia riforme della giustizia da quindici anni, poi puntualmente queste riforme sono leggi che tendono a evitargli i processi. Noi riteniamo che sia necessario preservare l'equilibrio dei poteri, fondato su una ferma autonomia del potere giudiziario dal potere politico. In questa cornice intoccabile bisogna intervenire per rendere la giustizia più rapida, non con la stupidaggine del processso breve. La separazione delle funzioni va rafforzata, ma non credo che una separazione delle carriere sia la soluzione del problema, anche se non lo considero un tabù. Solo non è opportuno: rischierebbe di rendere i pm ancora più corporativi e fuori da ogni controllo».
Come intervenire?
«Credo si possa affrontare il tema delle sanzioni ai giudici che sbagliano togliendo al Csm potere di intervenire su aspetti disciplinari e prevedendo un organo terzo».
Il processo a Del Turco è in udienza preliminare. Con la legge-bavaglio non avremmo saputo neppure perché era stato arrestato.
«Questa legge è assolutamente sbagliata perché non favorisce la tutela della privacy né il diritto a essere informati. Il problema della privacy è serissimo, ma si risolve non imbavagliando la stampa, ma responsabilizzando chi deve custodire atti segreti, intercettazioni e colpendone il commercio ignobile con sanzioni durissime».
Lo aveva detto a Roma nel corso di un dibattito promosso da Reti e Libertiamo.it. «Chiedo scusa a Ottaviano Del Turco per l'uso improprio che si è fatto di una vicenda ai danni di una persona sulle cui qualità morali non ho alcun dubbio». Ora lo ripete con convinzione.
Senatore, lei crede che il Pd abbia commesso errori nella vicenda Del Turco?
«Io penso che il Pd non debba farsi perdonare nulla, perché - tranne che per casi singoli - credo che il partito abbia avuto un atteggiamento di grande rispetto. Fassino, Marini, Legnini hanno fatto dichiarazioni, cercato di far sentire la propria vicinanza. Semmai il Pd doveva avere il coraggio di difendere il lavoro della giunta, doveva essere meno frettoloso nel chiedere lo scioglimento anticipato consegnando così la Regione alla destra».
Lei ne ha parlato durante un dibattito dedicato al «processo mediatico». È il caso di Del Turco?
«La verità che conta è quella processuale, che si deve nutrire di fatti e non di emozioni, mentre noi siamo a un punto in cui le sentenze possono essere emesse con il televoto. Questo carico mediatico produce l'effetto che, se le sentenze non giungono all'approdo che si è consolidato nella convinzione, diventa "giustizia tradita". In questo contesto si inserisce la riflessione su Del Turco: col senno di poi, si scopre che la sua giunta si stava preoccupando di moralizzare in un settore in cui in precedenza si erano consumate scelte politicamente e moralmente discutibili».
Lei dice: la verità che conta è quella processuale. Il processo però non si è ancora concluso.
«Ha ragione. Ma io propongo riflessioni di carattere squisitamente politico. Quelle giudiziarie è giusto che le svolgano i giudici. Non vorrei cadere nell'errore speculare: di usare i media per condizionare, perché credo che la forza dei fatti è quella che deve trionfare. Ma do un giudizio politico: dico che la giunta Del Turco era molto migliore di quella che l'ha preceduta e molto migliore di quella che l'ha seguita».
La procura sostiene però che i tagli furono obbligati da politiche nazionali di contenimento della spesa.
«Il lavoro che la giunta stava portando avanti non era figlio della costrizione e del governo centrale, ma era una scelta politica giusta. Peccato che questo percorso sia stato così drammaticamente interrotto e sono fiducioso nel fatto che gli abruzzesi si rendano conto di quanto di negativo questo cambio abbia comportato e di quanto sia auspicabile un cambiamento di rotta. E sul piano personale io credo che le imprudenti affermazioni di qualche esponente del partito abbiano offuscato la posizione del Pd che oggi deve riconoscere politicamente il ruolo e la funzione avuta da Del Turco. Dopodiché la giustizia faccia il suo corso».
La sua è un'idea condivisa dal resto del partito?
«Quando devo esprimere un'opinione di cui sono convinto non faccio verifiche».
Ne ha parlato con Ottaviano Del Turco?
«No. Ma ho espresso le mie opinioni anche durante quella vicenda, evidentemente con toni più bassi di quelli che esprimevano opinioni diverse. Credo però che lui le conosca».
Lei ritiene che il Pd dovrebbe cercare di "recuperare" l'ex governatore?
«Con la stessa sincerità e affetto con cui ho chiesto scusa, dico che credo che politicamente la sua scelta di distaccarsi dal centrosinistra sia compresibile dal punto di vista umano, ma sbagliata dal punto di vista politico: mi auguro che cambi, anche perché la sua è una storia personale e politica che ci appartiene e che dovrebbe continuare ad appartenerci».
Durante la prima udienza preliminare, del Turco ha detto l'"operazione" contro di lui era stata diretta da "una parte importante del Pd che sta sparendo". Un'accusa pesante.
«Credo che anche questo sia un giudizio affrettato».
A chi si riferiva?
«Non so, bisognerebbe chiedere a lui».
Lei parla di uso politico della giustizia. Che cosa intende?
«Si è fatto un uso politico della giustizia tanto a destra quanto a sinistra. Il campione è proprio Berlusconi che, in questi anni, ha prima cavalcato in modo spregiudicato la vicenda di Mani pulite, poi in modo più insidioso la sua polemica con la magistratura. L'ha fatto per alimentare la divisione del Paese, usando, per tutelare i propri interessi personali, il malessere profondo rispetto a una giustizia che non funziona. Speculare a questo c'è l'atteggiamento di chi ha usato la domanda di pulizia difendendo in maniera acritica anche scelte spesso discutibili e attestandosi nella difesa dello status quo. E affidando all'operato dei magistrati compiti che non sono della magistratura».
Adesso Silvio Berlusconi torna a parlare di riforma della giustizia, si ipotizzano pubblici ministeri sotto il potere esecutivo. Cosa ne pensa?
«Berlusconi annuncia riforme della giustizia da quindici anni, poi puntualmente queste riforme sono leggi che tendono a evitargli i processi. Noi riteniamo che sia necessario preservare l'equilibrio dei poteri, fondato su una ferma autonomia del potere giudiziario dal potere politico. In questa cornice intoccabile bisogna intervenire per rendere la giustizia più rapida, non con la stupidaggine del processso breve. La separazione delle funzioni va rafforzata, ma non credo che una separazione delle carriere sia la soluzione del problema, anche se non lo considero un tabù. Solo non è opportuno: rischierebbe di rendere i pm ancora più corporativi e fuori da ogni controllo».
Come intervenire?
«Credo si possa affrontare il tema delle sanzioni ai giudici che sbagliano togliendo al Csm potere di intervenire su aspetti disciplinari e prevedendo un organo terzo».
Il processo a Del Turco è in udienza preliminare. Con la legge-bavaglio non avremmo saputo neppure perché era stato arrestato.
«Questa legge è assolutamente sbagliata perché non favorisce la tutela della privacy né il diritto a essere informati. Il problema della privacy è serissimo, ma si risolve non imbavagliando la stampa, ma responsabilizzando chi deve custodire atti segreti, intercettazioni e colpendone il commercio ignobile con sanzioni durissime».
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