«Lavoro, alle parole seguano i fatti»
Marini: bene Tremonti sul valore del posto fisso, ma ora sia coerente.
PESCARA. Presidente Franco Marini il ministro Tremonti ha dichiarato che la flessibilità non è più un valore (ieri lo ha ripetuto anche Berlusconi). È una novità per il ministro di un governo di destra.
«Tremonti ci ha abituato a questi exploise. Devo dire che a me vanno bene le provocazioni culturali, ma se a farle è un superministro dell’economia mi aspetto che ci sia coerenza dentro il governo, coerenza che deve invocare lui stesso dopo affermazioni così drastiche».
Dunque condivide quello che ha detto Tremonti?
«Condivido largamente. Siamo stati per anni sotto il dominio del pensiero liberista, a cui il governo di destra italiano si è sempre riferito, un pensiero che ha esaltato la flessibilità del lavoro come valore miracoloso, affermando che l’avvento di rapporti flessibili e non garantiti avrebbe portato allo sviluppo e persino alla felicità».
Anche la sinistra per un certo periodo ha parlato di fine del lavoro fisso».
«Ci sono stati spezzoni della sinistra che sono stati intimiditi da questa enfatizzazione della flessibilità. Ma in Italia il risultato è stata una rottura drammatica del mercato del lavoro e la costituzione di un blocco di 4milioni di giovani precari che vivono con difficoltà e tensione. Sono giovani che vedono con pessimismo il loro futuro. Se non si mette riparo a tutto questo la situazione rischia di esplodere».
È una situazione che mette alla prova anche il sindacato.
«Certo, la prevalenza assoluta dei rapporti a termine è un problema che il sindacato deve porsi. C’è un lavoro serio fatto da due economisti Boeri e Garibaldi, “Nuovo contratto per tutti” che indica un percorso d’uscita sul quale non hanno detto di no né sindacati né confindustria, un percorso che porta a una ricomposizione del mercato del lavoro recuperando con gradualità la centralità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Ecco, lo dico al mio partito e a Tremonti: noi in Parlamento dopo queste dichiarazioni chiare dobbiamo pretendere che in tutte le occasioni in cui si parla di lavoro riemerga con forza la necessità di rapporti che diano stabilità. Oggi per esempio alla Camera si parla dei precari della scuola. Si cominci da lì a mettere un punto fermo».
Brunetta ha già detto che non è d’accordo con Tremonti.
«Brunetta storce la bocca, esprime contrarietà, ma il governo deve avere una sua linea, in palio è un problema troppo grande. Io indico una ricetta concreta fatta di due punti. Bisogna innanzitutto iniziare in tutte le occasioni a ridurre drasticamente il numero dei tanti contratti atipici. Siamo arrivati a 4 milioni. La cifra deve essere sideralmente distante da questa. Certo, va mantenuto un certo plafond per i lavori flessibili stagionali o di altri settori dove è necessaria una qualche flessibilità per essere competitivi. Ma questi devono essere i sindacati a contrattarli. In secondo luogo occorre una riforma degli ammortizzatori sociali. Dicono che sono i migliori d’Europa? Io dico che sono i peggiori d’Europa. Diamo allora una regolamentazione uniforme per tutti, al di là del tipo di azienda e del numero di dipendenti. Perché il problema non lo risolve la cassa integrazione in deroga. Ci vuole invece una riforma per tutti, in modo che al momento della perdita del lavoro ci sia una risposta: per le piccole e medie imprese, per i commercianti, per gli artigiani».
Presidente, la questione del lavoro si lega in qualche modo a quella del terremoto, dove la ricostruzione può essere occasione d’occupazione. Come vede la situazione?
«Il primo passo da fare è che la gestione dell’emergenza svolta dalla Protezione civile si chiuda subito con la cancellazione delle tende. Lì non si può vivere più, l’ho sempre detto. La protezione civile deve fare uno sforzo per trovare una collocazione diversa utilizzando gli appartamenti disponibili, magari requisendoli per alcuni mesi. Gli alberghi invece devono essere l’estrema ratio. Ma il ritardo vero è sulla ricostruzione. Lì l’avvio deve essere immediato, affidando responsabilità chiare alla Regione e agli enti locali, senza aquivoci. E qui certamente si pone un problema che è già all’ordine del giorno, il rischio delle infiltrazioni malavitose dentro le attività della ricostruzione».
Imprese malavitose che magari tolgono lavoro alle imprese abruzzesi, poco presenti in questa fase della ricostruzione
«Come dice il presidente dell’Ance di Chieti Primavera nel suo intervento sul Centro, ci sono potenzialità e capacità in Abruzzo che vanno sfruttate. Si può capire che nella fase d’emergenza si prenda il meglio che c’è in Italia. Ma ora le capacità straordinarie delle imprese abruzzesi vanno valorizzate. E non solo. Ovunque sia possibile, in particolare nei comuni del cratere, vanno trovati spazi anche per le piccole e piccolissime imprese, e per le imprese artigiane. Il loro coinvolgimento è fondamentale per la ripresa dell’economia di quei territori che altrimenti rischierebbero lo spopolamento. Credo che Regione e gli enti locali debbano guardare con urgenza a questa esigenza».
Presidente veniamo al Pd. Domenica si vota per l’elezione del segretario nazionale e dei segretari regionali. Cosa si aspetta?
«Questo percorso è stato lungo e per certi versi un po’ farraginoso. Io stesso ho partecipato, anche in Abruzzo, a molte assemblee di circolo. Ma il fatto che 450mila iscritti, il 60% del totale, sia andato a votare è stato uno straordinario esercizio di democrazia. Ora abbiamo bisogno per i problemi dell’Abruzzo e dell’Italia di un segretario autorevole e stabile. Io come noto sostengo Franceschini, ma visti i tre candidati non ho dubbi che chiunque vinca avremo un segretario autorevole. Ma è anche necessario che questa autorevolezza venga non solo dalla persona che sarà eletta ma anche dalla forte partecipazione dei cittadini».
Il Pd uscirà dalle primarie più forte, o vede rischi di scissione come dice qualche commentatore?
«Penso che da domenica avremo un partito più forte e coeso. Le storie di abbandoni, se conosco bene il partito, mi sembrano campate in aria. Ripartiremo con un percorso molto più solido per dare un grande contributo all’Italia».
«Tremonti ci ha abituato a questi exploise. Devo dire che a me vanno bene le provocazioni culturali, ma se a farle è un superministro dell’economia mi aspetto che ci sia coerenza dentro il governo, coerenza che deve invocare lui stesso dopo affermazioni così drastiche».
Dunque condivide quello che ha detto Tremonti?
«Condivido largamente. Siamo stati per anni sotto il dominio del pensiero liberista, a cui il governo di destra italiano si è sempre riferito, un pensiero che ha esaltato la flessibilità del lavoro come valore miracoloso, affermando che l’avvento di rapporti flessibili e non garantiti avrebbe portato allo sviluppo e persino alla felicità».
Anche la sinistra per un certo periodo ha parlato di fine del lavoro fisso».
«Ci sono stati spezzoni della sinistra che sono stati intimiditi da questa enfatizzazione della flessibilità. Ma in Italia il risultato è stata una rottura drammatica del mercato del lavoro e la costituzione di un blocco di 4milioni di giovani precari che vivono con difficoltà e tensione. Sono giovani che vedono con pessimismo il loro futuro. Se non si mette riparo a tutto questo la situazione rischia di esplodere».
È una situazione che mette alla prova anche il sindacato.
«Certo, la prevalenza assoluta dei rapporti a termine è un problema che il sindacato deve porsi. C’è un lavoro serio fatto da due economisti Boeri e Garibaldi, “Nuovo contratto per tutti” che indica un percorso d’uscita sul quale non hanno detto di no né sindacati né confindustria, un percorso che porta a una ricomposizione del mercato del lavoro recuperando con gradualità la centralità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Ecco, lo dico al mio partito e a Tremonti: noi in Parlamento dopo queste dichiarazioni chiare dobbiamo pretendere che in tutte le occasioni in cui si parla di lavoro riemerga con forza la necessità di rapporti che diano stabilità. Oggi per esempio alla Camera si parla dei precari della scuola. Si cominci da lì a mettere un punto fermo».
Brunetta ha già detto che non è d’accordo con Tremonti.
«Brunetta storce la bocca, esprime contrarietà, ma il governo deve avere una sua linea, in palio è un problema troppo grande. Io indico una ricetta concreta fatta di due punti. Bisogna innanzitutto iniziare in tutte le occasioni a ridurre drasticamente il numero dei tanti contratti atipici. Siamo arrivati a 4 milioni. La cifra deve essere sideralmente distante da questa. Certo, va mantenuto un certo plafond per i lavori flessibili stagionali o di altri settori dove è necessaria una qualche flessibilità per essere competitivi. Ma questi devono essere i sindacati a contrattarli. In secondo luogo occorre una riforma degli ammortizzatori sociali. Dicono che sono i migliori d’Europa? Io dico che sono i peggiori d’Europa. Diamo allora una regolamentazione uniforme per tutti, al di là del tipo di azienda e del numero di dipendenti. Perché il problema non lo risolve la cassa integrazione in deroga. Ci vuole invece una riforma per tutti, in modo che al momento della perdita del lavoro ci sia una risposta: per le piccole e medie imprese, per i commercianti, per gli artigiani».
Presidente, la questione del lavoro si lega in qualche modo a quella del terremoto, dove la ricostruzione può essere occasione d’occupazione. Come vede la situazione?
«Il primo passo da fare è che la gestione dell’emergenza svolta dalla Protezione civile si chiuda subito con la cancellazione delle tende. Lì non si può vivere più, l’ho sempre detto. La protezione civile deve fare uno sforzo per trovare una collocazione diversa utilizzando gli appartamenti disponibili, magari requisendoli per alcuni mesi. Gli alberghi invece devono essere l’estrema ratio. Ma il ritardo vero è sulla ricostruzione. Lì l’avvio deve essere immediato, affidando responsabilità chiare alla Regione e agli enti locali, senza aquivoci. E qui certamente si pone un problema che è già all’ordine del giorno, il rischio delle infiltrazioni malavitose dentro le attività della ricostruzione».
Imprese malavitose che magari tolgono lavoro alle imprese abruzzesi, poco presenti in questa fase della ricostruzione
«Come dice il presidente dell’Ance di Chieti Primavera nel suo intervento sul Centro, ci sono potenzialità e capacità in Abruzzo che vanno sfruttate. Si può capire che nella fase d’emergenza si prenda il meglio che c’è in Italia. Ma ora le capacità straordinarie delle imprese abruzzesi vanno valorizzate. E non solo. Ovunque sia possibile, in particolare nei comuni del cratere, vanno trovati spazi anche per le piccole e piccolissime imprese, e per le imprese artigiane. Il loro coinvolgimento è fondamentale per la ripresa dell’economia di quei territori che altrimenti rischierebbero lo spopolamento. Credo che Regione e gli enti locali debbano guardare con urgenza a questa esigenza».
Presidente veniamo al Pd. Domenica si vota per l’elezione del segretario nazionale e dei segretari regionali. Cosa si aspetta?
«Questo percorso è stato lungo e per certi versi un po’ farraginoso. Io stesso ho partecipato, anche in Abruzzo, a molte assemblee di circolo. Ma il fatto che 450mila iscritti, il 60% del totale, sia andato a votare è stato uno straordinario esercizio di democrazia. Ora abbiamo bisogno per i problemi dell’Abruzzo e dell’Italia di un segretario autorevole e stabile. Io come noto sostengo Franceschini, ma visti i tre candidati non ho dubbi che chiunque vinca avremo un segretario autorevole. Ma è anche necessario che questa autorevolezza venga non solo dalla persona che sarà eletta ma anche dalla forte partecipazione dei cittadini».
Il Pd uscirà dalle primarie più forte, o vede rischi di scissione come dice qualche commentatore?
«Penso che da domenica avremo un partito più forte e coeso. Le storie di abbandoni, se conosco bene il partito, mi sembrano campate in aria. Ripartiremo con un percorso molto più solido per dare un grande contributo all’Italia».