Montanelli, l’anarchico borghese
Oggi 100 anni fa nasceva il grande giornalista, una mostra a Fucecchio lo celebra.
«Montanelli, un misantropo che cerca compagnia per sentirsi più solo». Leo Longanesi, che lo conosceva bene, lo aveva scolpito così, con una delle definizioni delle sue, che non ammettevano repliche. Indro Montanelli avrebbe compiuto 100 anni, oggi, se non fosse morto il 22 luglio di 8 anni fa. Il suo paese, Fucecchio in Toscana, ricorda il grande giornalista, a partire da oggi, con una grande mostra che resterà aperta fino al 13 settembre nella sede della Fondazione Montanelli-Bassi e nel Museo civico. Il titolo: «Indro Montanelli, la vita, le opere, i luoghi». La mostra propone un percorso fotografico, bibliografico e documentario sulla vita di Montanelli, con ullo sfondo la storia del Novecento di cui il giornalista e scrittore toscano è stato uno dei massimi testimoni con i suoi numerosi reportage e libri. Saranno esposti fotografie, giornali, riviste, libri nella varie edizioni - anche quelle più rare -, oggetti personali, lettere inedite. Saranno riproposti, inoltre, gli arredi dei due studi che Montanelli aveva a Milano e a Roma e che vennero trasferiti a Fucecchio dopo la sua morte. Un altro spazio sarà riservato ai libri di Montanelli accompagnati da dediche, lettere o biglietti autografi di cui sarà esposta una selezione per documentare i rapporti tenuti da Montanelli e dalla moglie Colette Rosselli. Montanelli era un anarchico borghese della razza dei Giuseppe Prezzolini (un maestro da lui sempre venerato) per dirla con il titolo del secondo tomo a delle biografia (288 pagine, 18,50 euro) che gli hanno dedicato Sandro Gerbi e Raffaele Liucci e che Einaudi manda, in questi giorni, in libreria, a tre anni dal primo capitolo. anni dalla prima uscita. E’ di poche settimane fa, invece, la pubblicazione da Rizzoli del primo volume dei diari di Montanelli, «I conti con me stesso. I diari 1957-1978», in cui il giornalista racconta i vizi (molti, a suo dire) e i pregi (rari) della vita pubblica italiana del secondo Novecento. Nelle pagine dei diari sfilano personaggi come Longanesi e Ansaldo, Prezzolini e La Malfa, Agnelli e Visentini, Wally Toscanini e Joséphine Baker, Spadolini e Berlusconi, Kissinger e Aron. E colleghi amati o odiati: da Scalfari a Ottone, da Bocca ed Afeltra, a Buzzati, Ronchey, Russo. Conservatore, fiero propugnatore e difensore della libertà di pensiero, borghese allergico ai salotti radical chic, ironico. Come per il primo volume (che aveva coperto il periodo dal 1909 al 1957), i due autori si sono basati su un’attentissimo lavoro d’archivio e una lettura sistematica di tutti gli articoli, montanelliani e non, che potessero essergli utili. In questa seconda parte, che va dal 1958 alla morte del giornalista, emerge appieno la sua anima di anarchico sui generis come amava definirsi. «Sono un anarchico», scriveva. «Indico dei punti di riferimento, senza volermi in essi identificare, alla Prezzolini o alla Longanesi. Che è un modo difficile, ingrato, in qualche modo contraddittorio, di esserlo». La vita di Montanelli uomo non è si può separare dalla biografia del giuornalista e scrittore. Al Corriere della Sera entra nel 1938 per restarvi fino al 1973, quando, in contrasto con la direzione di Piero Ottone, abbandona il quotidiano di via Solferino per fondare il Giornale Nuovo (oggi semplicemente Il Giornale) con una pattuglia di fedelissimi come Mario Cervi, Enzo Bettiza e Carlo Laurenzi. Da lì, dalla scrivania di direttore del quotidiano che poi sarà acquisito da Silvio Berlusconi, continua la sua battaglia contro il centro-sinistra, il sessantottismo, ma anche in difesa della legge sul divorzio e di Venezia contro il degrado ambientale che rischia di ucciderla. Con la creazione di un quotidiano a sua immagine e somiglianza, secondo Gerbi e Liucci, Montanelli «forse diventa un giornalista politico a tutto tondo», assumendo anche posizioni contestate dai suoi lettori, come l’essere contrario all’introduzione in Italia alla pena di morte. Sono gli anni in cui vende 170 mila copie al giorno e, alle elezioni politiche del giugno 1976 (quelle del possibile sorpasso del Pci rispetto alla Democrazia cristiana) lancia l’appello divenuto poi famoso: «Votate Dc, turandovi il naso». Negli Anni di piombo, Montanelli finisce nel mirino delle Brigatre rosse che, il 2 giugno 1977 a Milano, lo «gambizzano». «Io dico che questi sono poveri diavoli», scrive il giornalista in un pezzo dettato dal letto d’ospedale, «meritano più disprezzo che odio». Nel 1993 un suo nuovo gran rifiuto, dopo l’abbandono del Corriere. Lascia la direzione del Giornale, perché contrario all’entrata nell’arena politica di Silvio Berlusconi, a lungo maggiore azionista della testata, che gli aveva chiesto di supportare la sua campagna politica. Nel 1994 parte l’avventura a breve termine del quotidiano La Voce, e l’anno dopo c’è il suo ritorno al Corriere, dove cura la pagina delle lettere, fino alla morte, in una clinica di Milano, il 22 luglio del 2001. L’ultimo «pezzo» è il necrologio, pubblicato sulla prima pagina del Corriere della Sera: «Giunto al termine della sua lunga e tormentata esistenza,Indro Montanelli, giornalista (Fucecchio 1909), prende congedo dai suoi lettori ringraziandoli dell’affetto e della fedeltà con cui l’hanno seguito». |