Nucleare, propaganda e mezze verità

18 Marzo 2011

Intervista al biologo Damiani (foto) sul nucleare: "L'Italia non è mai uscita dal programma"

PESCARA. Che credibilità può avere una proposta di nuovo nucleare quando, dopo 25 anni e imponenti mezzi professionali, economici e finanziari a disposizione, non si è riusciti neppure ad eleminare gli esiti dell'«antico» nucleare? Ruota intorno a questo domanda lo spunto che offre Giovanni Damiani sul piano delle nuove centrali. In questa intervista al Centro Damiani parla nel ruolo di ex componente della commissione nazionale per le valutazioni dell'impatto ambientale.

Damiani è stato anche direttore generale dell'Anpa (Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente), ex Autorità nazionale per la sicurezza nucleare e all'interno della commissione si è occupato dello smantellamento delle centrali atomiche di Caorso e Garigliano. Impianti che esistono ancora: perché?

«Perché l'Italia, come la gente potrebbe pensare, di fatto non è mai uscita dal nucleare, ma si è limitata a spegnere gli impianti dopo l'esito del referendum del novembre 1987. Le grandi centrali di Garigliano, Latina, Trino Vercellese e Caorso, sono ancora lì, sempre più fatiscenti e per questo mediamente o molto pericolose, con stuoli di tecnici pagati da 25 anni solo per tenerle ferme, presidiate, per fronteggiarne il degrado.

Altri impianti "minori" sono comunque presenti in Italia: il reattore "Costanza" a Palermo, l'Itrec a Trisaia, Eurex a Saluggia, Triga a Pavia, Essor di Ispra a Varese. Sebbene la Sogin, società finanziata dal ministero del Tesoro con un fondo alimentato da una lire per ogni kilowattora consumato dagli italiani, abbia predisposto i programmi di smantellamento e sebbene, dopo impedimenti e varie vicissitudini, abbia ottenuto le autorizzazioni di legge dalla commissione nazionale per le valutazioni dell'impatto Ambientale e, per gli aspetti radioprotezionistici, dall'Apat-Agenzia nazionale per l'Ambiente e dei Servizi Tecnici, e sebbene le modalità di finanziamento della Sogin avessero prodotto nel tempo una cifra molto più vicina all'entità di una seria manovra economica piuttosto che a un "tesoretto", nulla è stato fatto né sulla dismissione né per il deposito nazionale sulle scorie nucleari».

Professore, vuole dire che in Italia c'è stata e c'è una precisa volontà politica sul nucleare?
«Voglio dire che si dicono sempre mezze verità. Ad esempio, si sostiene che il programma nucleare nuovo non ancora decolla perché manca in Italia l'Agenzia per la sicurezza nucleare. Non dicono, però, che l'Italia aveva una tale Agenzia, efficiente e con le più elevate professionalità italiane addette alla sicurezza ed al controllo in materia di radiazioni ionizzanti. Tale personale era nel Dipartimento rischio nucleare dell'Apat, ereditato dall'ex Anpa che a sua volta l'aveva ereditato dall'ex Enea. Essa è stata, per decenni, l'Autorità di sicurezza nucleare in Italia fino a che è stata misteriosamente sciolta con l'entrata in vigore del decreto 21 maggio 2010, nº 123 relativo alla fusione dell'Apat, dell'Infs e dell'Icram in un unico istituto, denominato Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), i cui ricercatori hanno vissuto per mesi sui tetti per non essere epurati dai tagli del ministro Brunetta. Perché non si è consentito, con nuove assunzioni, di trasferire l'enorme professionalità acquisita dagli addetti alla sicurezza nucleare prima che andassero in pensione? Oggi l'età media di quelli ancora al lavoro è scandalosamente alta e non c'è ricambio. S'intende fare un nuovo nucleare geriatrico?

Perché è stata sciolta l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente, di cui lei è stato direttore, deputata al rilascio dei pareri ed ai controlli?
«Alcuni maligni hanno sostenuto che lavorasse troppo bene e che, in quanto dotata anche di ispettori con la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria, che, come noto, rispondono in primis alla magistratura, erano troppo indipendenti e rigorosi e quindi era meglio farne un'altra. Non ci voglio credere, in quanto sono un loro "ex direttore", però, mi risulta la loro alta qualificazione e l'attenzione rigorosa ai temi della sicurezza, della trasparenza e dei controlli..»

Il governo vuole rimettere in piedi il piano sul nucleare. Lei che ne pensa?
«Nonostante l'abbondanza di dichiarazioni rese di fronte a telecamere e microfoni, devo registrare che è difficilissimo trovare informazioni corrette e tentativi di avviare un dibattito serio sulla riapertura, in Italia, del capitolo nucleare. E che dire, poi, dei messaggi di pura propaganda, degli slogan, dei giudizi non motivati espressi da politici di carriera e da tecnici o accademici in carriera, che, per la loro contraddittorietà, stanno producendo sconcerto tra i cittadini a cui viene impedito di orientarsi in scelte consapevoli. Su cose così delicate le bugie e l'approssimazione producono danni straordinari. Come possiamo fidarci infatti, per le scelte politiche ed energetiche italiane, e ancora di più per questioni di sicurezza di intere popolazioni, di coloro che praticano la superficialità, il riduttivismo o addirittura la menzogna?».

Siamo alla propaganda?
«Guardi, uno scivolone ha visto protagonista, ancora una volta, il professor Antonino Zichichi. Vorrei ricordarlo anche per sue le passate posizioni ondivaghe, in Abruzzo, sul terzo traforo del Gran Sasso d'Italia: prima da lui sponsorizzato, poi con rilievo mediatico avversato perché, diceva, essere "sperpero di denaro pubblico ed opera inutile" e poi di nuovo sostenuto con ardore, senza che nulla fosse cambiato nel progetto (non so che cosa fosse cambiato nei suoi incarichi). Di fronte alle prime criticità del reattore giapponese giornalisti filogovernativi sono andati a cercarlo ed egli ha affermato con certezza monolitica: "non c'è alcun pericolo, non è successo niente". "Proprio niente?" chiedeva la giornalista imbarazzata. E il professore: "niente!". Eppure nelle stesse ore il governo francese, che non è certo noto come campione di opposizione al nucleare, faceva appello ai suoi concittadini perché abbandonassero immediatamente il Giappone per l'imminente emergenza nucleare, prevedibile e prevista, visto che erano drammaticamente andati in avaria sistemi di raffreddamento, primario e di emergenza e si era ricorso all'immissione di acqua di mare, a circuito aperto, per contrastare l'innalzamento della temperatura che può arrivare a provocare la fusione degli elementi radianti e del nocciolo. Persino dopo lo scoppio del reattore, oramai classificabile come il secondo più grave incidente mai verificatosi al mondo, c'è chi ha continuato a dire che le cose erano tranquille perché lo scoppio sarebbe stato solo "chimico"».

Come si può speculare su una tragedia simile?
«Mi segua bene, qui siamo al falso ragionato: lo scoppio di un reattore a causa della pressione incontenibile di gas costituito da vapor d'acqua ed idrogeno, è un fenomeno fisico e non chimico. Ma se avessero detto "fisico" avrebbero indotto nell'ascoltatore l'associazione tra "la fisica nucleare" e l'oggetto che scoppia e allora meglio incolpare la signora Chimica, anche se c'entra poco o niente. E poi la passerella dei politici parlano di centrali di terza o quarta generazione, senza sapere neppure di che cosa si parli».

Ci conforti, ci dica se ad ogni generazione di centrali atomiche corrisponda un livello di sicurezza in più.
«Al ministero dell'Ambiente hanno detto che le nuove centrali saranno 200 volte più sicure. Ma perché? Come hanno misurato quel "200 volte"? Sono state intervistate persone scovate negli atenei qui e là, compreso chi, da Genova, sosteneva a suo tempo in riferimento a Chernobyl, che il rischio associato al nucleare era pari a quello dell'assunzione di cioccolato... mentre non abbiamo sentito la voce del premio nobel per la ricerca in campo nucleare Carlo Rubbia. E il sospetto sorge legittimo: Rubbia sul nucleare e sulla questione energetica ha commesso "il reato" di aver detto, dall'alto della sua indiscutibile competenza, la verità e questo gli è costato la rimozione dalla presidenza dell'Enea e il doversi trasferire in Spagna a realizzare uno dei progetti più grandi a livello mondiale, da fonte solare».

È vero che l'energia nucleare è quella più a buon mercato?
«Si dice così e che quindi sarebbe una scelta obbligata. Ma le rispondo con una domanda: perché allora le centrali che si vorrebbero fare in Italia le dobbiamo pagare noi cittadini, attraverso lo Stato? La produzione dell'energia nel nostro Paese è stata privatizzata e quindi dovrebbero essere gli enti energetici ad intraprenderne la realizzazione. Ma la verità è che nessun ente farà mai centrali atomiche investendo fondi del proprio bilancio, semplicemente perché l'energia elettrica prodotta da fonti nucleare è costosissima, antieconomica e può essere fatta solo se i deficit vengono coperti dallo Stato, magari tenendo segreti i conti delle passività. L'Italia non ha, inoltre, miniere di uranio da sfruttare e questo elemento va aumentando di prezzo considerevolmente anche perché va esaurendosi a ritmi ben superiori a quelli del petrolio. Vi pare sostenibile che il nuovo nucleare italiano costi 30 miliardi di euro, per ottenere appena il 4% in più di solo energia elettrica tra vent'anni?».

© RIPRODUZIONE RISERVATA