I parenti delle vittime di Rigopiano sempre presenti a tutte le udienze

PESCARA

Rigopiano, le carte che innescano i veleni 

In 11 pagine l’ex capo della Mobile di Pescara, Muriana, cerca di delegittimare i carabinieri forestali che hanno indagato

PESCARA. Quella di cui si stanno occupando il procuratore aggiunto Anna Rita Mantini e il sostituto Salvatore Campochiaro, è una guerra tra istituzioni che forse non ha precedenti. L'ex capo della mobile di Pescara, Pierfrancesco Muriana, che a distanza di due anni dai fatti denuncia per falso tre carabinieri forestali (il colonnello Annamaria Angelozzi, il maresciallo Carmen Marinacci e l'appuntato Michele Brunozzi) che come lui hanno indagato sul disastro dell'hotel Rigopiano dove persero la vita 29 persone, è un fatto gravissimo per l'immagine delle istituzioni. La relazione accusatoria di Muriana lascia piuttosto perplessi per due ordini di motivi: la pesantezza delle accuse nei confronti di uomini dello Stato che si sono spesi con la loro professionalità per la ricerca della verità e che hanno fatto emergere il filone del depistaggio a carico dei vertici della Prefettura dell'epoca; la sostanziale delegittimazione di chi ha operato in questa delicata indagine, che arriva proprio alla vigilia del processo madre.

Pierfrancesco Muriana, ex capo della squadra Mobile di Pescara

PARTE L’ATTO. Muriana, il 21 novembre scorso, dopo la trasmissione de Le Iene che avevano confezionato il servizio su Rigopiano, mandando il fuori onda con le sue accuse nei confronti dell'Angelozzi, e dopo aver accettato di rilasciare testimonianza ai difensori del sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta (15 novembre 2019), invia 11 pagine di "segnalazione di fatti penalmente rilevanti" alla procura. E lo fa a capitoli: "premessa", "le evidenti anomalie riscontrate", "gli accertamenti effettuati", "il possibile movente".
Ma la cosa che lascia ancor più perplessi è che, pur essendo dirigente del commissariato di Manfredonia, lo spedisce con tanto di timbro "Squadra Mobile Questura di Pescara", dopo aver fatto i suoi accertamenti nella Questura di Pescara. L'argomento principale, che è stato già oggetto degli interrogatori in procura cui sono stati sottoposti i tre indagati, che peraltro hanno fornito ai magistrati ogni chiarimento sulle contestazioni, è quello relativo al protocollo mancante nell'annotazione dell'agente Crosta, presente invece sul documento originale partito dalla Questura (ma la Finanza che sta conducendo le indagini, nella perquisizione ha trovato il documento incriminato che era stato trasmesso effettivamente senza il protocollo).

Il documento di denuncia di Muriana
LA TELEFONATA. Il fulcro dell'annotazione riguardava la telefonata di aiuto del cameriere del Resort, Gabriele D'Angelo, deceduto poi sotto le macerie, fatta la mattina della tragedia, contenuta appunto nell'annotazione di Crosta che, secondo Muriana, riportava il protocollo poi sparito nell'inoltro alla procura: compito che, secondo i magistrati, avrebbe invece dovuto fare la polizia che era stata delegata e non i carabinieri forestali. Anche se su questo aspetto del ritardato invio gli inquirenti si erano già espressi affermando che «non ha compromesso il prosieguo delle indagini o inciso il dato della sua efficacia». Torniamo alla denuncia di Muriana.
L’ATTACCO. Il passaggio più grave e velenoso riguarda l'ultimo capitolo. Ne "il possibile movente" l'ex capo della mobile scrive "...non rimane che chiedersi cosa abbia potuto determinare un gruppo di pubblici ufficiali... a dichiarare deliberatamente il falso... utilizzando un atto pubblico evidentemente alterato e ciò a causa della mancata allegazione della lettera di trasmissione e con l'invio di un'annotazione priva, o meglio che è stata privata, della stampigliatura del protocollo, elemento che ne garantiva l'autenticità, ma soprattutto rintracciabilità».
E poi ancora: «Se si esclude la negligenza, che non giustifica da sola una grave e deliberata mistificazione, non rimane che ipotizzare l'azione dolosa, cioè la volontà di non affrontare, per motivi che dovranno essere chiariti dalle indagini, un certo tema di indagine». Ma chi ha messo in luce il depistaggio, è bene ricordarlo, sono stati proprio i carabinieri forestali, anche se per puro caso e grazie all'esame del cellulare di D'Angelo dove venne rinvenuta la chiamata fatta proprio alla Prefettura alle 11,38 del 18 gennaio 2017. Il passaggio più pesante che chiude la relazione è questo: «Ciò porta a presumere per logica che, nelle fasi successive, altre attività di indagine possano essere state "condizionate" dalla iniziale, deliberata e scellerata decisione intrapresa». Affermazioni gravissime che creano un evidente corto circuito istituzionale, senza nessun apparente fine logico.

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