Santoro: alla politicachiedo trasparenzae onestà intellettuale

Intervista al vescovo delle diocesi di Avezzano (foto) che parla del cammino nella fede, del legame con i giovani e  pungola i politici. E poi ancora il disagio della povertà e la tormentata accoglienza degli immigrati

AVEZZANO. Il cammino nella fede, il legame con i giovani e il pungolo ai politici. E poi ancora: il disagio della povertà e la tormentata accoglienza degli immigrati. Appare minuto e riflessivo il vescovo della diocesi di Avezzano, Pietro Santoro. Ma dietro l'apparenza si nasconde un carattere forte, pur nella pacatezza espositiva delle varie argomentazioni. Le parole sono ponderate, le domande analizzate con cura prima di ogni risposta, ma ciò che viene fuori alla fine è il rilevante peso specifico del pensiero di un presule che affronta senza timori i più svariati temi: dalla lettera pastorale del 2012 al sermone festivaliero di Celentano.

Nella sua attività pastorale si è sempre contraddistinto per l'interessamento al mondo giovanile. È stato al fianco dei giovani da Buenos Aires alla recente Giornata mondiale della Gioventù (Gmg) a Madrid. Quale ruolo potranno avere i giovani nella vita della diocesi di Avezzano?
«Tutto il mio ministero sacerdotale nella diocesi di Chieti-Vasto, prima del servizio episcolpale nella diocesi di Avezzano, è stato caratterizzato prevalentemente anche se non esclusivamente dall'accompagnamento spirituale e culturale ai giovani. Come assistente diocesano dei giovani di Azione cattolica e come responsabile della pastorale giovanile. L'amore per i giovani non è mai stato una cornice pastorale, ma nasceva dall'intuizione che con i giovani si gioca il presente e il futuro della Chiesa. E non solo della Chiesa. Ho riversato questo amore nel ministero episcopale di Avezzano. Quali sono le attese e i problemi della pastorale giovanile in diocesi? Anche nel nostro territorio si riscontra una cultura di diserbante etico ormai spalmata nell'intero contesto nazionale e i giovani vivono un disorientamento interiore anche dovuto alla precarietà del lavoro e a dimensioni nesistenziali che escludono il senso trascendente della vita. Senza entrare in prospettive globali lo sforzo della diocesi è soprattutto teso a rendere la parrocchia casa accogliente per i giovani, dove ci si educa all'incontro con Cristo, al giudizio critico sulla propria vita e sulla società e si creino responsabilità affinché i giovani si sentano protagonisti nella Chiesa e nella società. C'è da svecchiare prassi e metodologie. Torno a dire quanto ho recentemente scritto: "Fino a quando i giovani non hanno la possibilità di trovare cammini di incontro con Cristo, e non surrogati tristi di parcheggio delle domande che hanno dentro, non avvertiranno mai il fondamento della loro fede come missione e dono per la Chiesa e il mondo". È da rilevare la forte presenza giovanile dell'Azione cattolica, degli scout e degli altri movimenti.

Il mondo del sociale è stato più volte al centro delle sue omelie e dei suoi moniti al mondo politico che recentemente ha anche spronato a fare squadra per la creazione di una rete sociale. Da una recente inchiesta del Centro è emerso che nella mensa della Caritas gli ospiti aumentano di giorno in giorno e sono sempre più italiani. In che modo secondo lei potrebbero intervenire le istituzioni diverse dalla Chiesa?
«Premesso che ho sempre coltivato un grande rispetto per le istituzioni, ho costantemente ribadito che il ruolo della Chiesa sul versante sociale deve essere profetico, non di sovrapposizione. La profezia nasce dall'annuncio di un vangelo incarnato nelle speranze e nelle inquietudini dell'uomo. La politica, nell sua accezione più autentica, deve essere organizzazione della speranza e non ngestione passiva dell'esistente. In questo contesto, come vescovo ho voluto essere sempre la voce di chi chiede alla politica quanto la politica deve dare: leggi giuste, lavoro, promozione dei deboli, attenzione insonne alle povertà. Non sono mai stato e non sarò mai generico a riguardo. Non ho mai inteso fare sconti sul richiamo costante a queste dimensioni».

Tra un paio di mesi si torna al voto per le Comunali di Avezzano. Cosa si aspetta la diocesi dall'amministrazione del futuro?
«Con la libertà interiore che mi viene dal Vangelo mi aspetto trasparenza personale, onestà intellettuale, capacità di ascolto del sommerso della città, valorizzazione dei corpi intermedi - realtà associative - rete di promozione solidale e soprattutto capacità di pensare in grande. Avezzano non può avere una cultura di cortile».

L'agricoltura è il fulcro dell'economia marsicana ma, come ha ricordato lei durante l'omelia della festa di Sant'Antonio Abate a Luco dei Marsi, sempre meno giovani hanno voglia di sporcarsi le mani. Nei campi ci sono pochi italiani e molti cittadini stranieri che si piegano a raccogliere le patate, ma spesso finiscono al centro di episodi di criminalità. La Marsica secondo lei ha aperto veramente le porte ai fratelli extracomunitari? C'è integrazione?
«L'agricoltura resta una delle grandi risorse economiche e sociali del territorio, anche se come spesso ho ribadito, penalizzata soprattutto sul versante della distribuzione e dei prezzi all'origine. La disaffezione dei giovani al mondo agricolo è una realtà di fatto, anche se noto dei timidi ritorni controcorrente. Tutto questo ha portato all'afflusso di extracomunitari nei lavori stagionali. Ci sono stati episodi di lavoro nero, ci sono ancora situazioni abitative di degrado, fenomeni di intolleranza, ma complessivamente ritengo la Marsica terra ospitale di accoglienza e di integrazione».

Monsignor Santoro, quanti sono i sacerdoti della diocesi e qual è la loro età media? Li ritiene un numero sufficiente? Negli ultime due anni sono stati ordinati tre giovani sacerdoti marsicani, altri seminaristi si preparano a entrare nella chiesa diocesana. Nonostante ciò in diverse parrocchie ci sono preti stranieri. Esiste una crisi vocazionale nella Marsica?
«La Diocesi è strutturata in 100 parrocchie, 90 sacerdoti, compresi i religiosi. Alcuni sacerdoti devono reggere contemporaneamete due parrocchie. L'età media dei sacerdoti è alta, ma un segno di grande speranza è affidato alle nuove vocazioni. Abbiamo sette teologi nel seminario regionale, un sacerdote sarà ordinato entro l'anno e quindi nei prossimi anni la "provvigione" è garantita».

E quale tipo di apporto offrono i laici?
«I laici sono presenti negli organismi diocesani dentro le associazioni, i movimenti e le confraternite. Da sottolineare che i catechisti, fondamentali nei cammini pastorali, sono tutti laici. Nello stesso tempo, credo che la dimensione laicale nella nostra chiesa locale necessita di un'ulteriore crescita. I laici non devono vedere se stessi come semplice supporto, ma esprimere le loro potenzialità battesimali in riferimento alle nuove sfide che li attendono nei mutati contesti culturali del mondo di oggi. In primo luogo devono tornare a riproporre la famiglia come luogo fondamentale dell'educazione cristiana e a vivere una fede nella società contemporanea non come guscio privato, ma come contaminazione della realtà con il fermento del Vangelo. Non è più tempo di un Cristianesimo nascosto e privatizzato».

La sua esperienza nella Marsica coincide con il suo primo impegno da vescovo. Come si è integrato in questa terra?
«Sono entrato in diocesi con amore e continuo a camminare con amore, con l'intenzione costante, e lo dico senza retorica, di camminare dentro il popolo che Dio mi ha chiesto di custodire. Quando a volte mi sento dire, anche dai più semplici: "Lei è uno di noi", in quel momento comprendo di essere, pur con le mie fragilità, nella dimensione giusta. Sottolineo un aspetto che ritengo fondamentale: a volte un vescovo viene visto e giudicato sulle cose che dice o che fa. Personalmente ho voluto e voglio che parli la mia vita, la mia uniformità al Vangelo».

È soddisfatto del suo rapporto con i parroci? Cosa si aspetta in particolare oggi da loro?
«Sono contento dei miei sacerdoti, del loro impegno, della loro capacità di stare con la gente e di assumerne le gioie e le speranze. Ovviamente ci attende, insieme, nell'unità, di rendere Cristo contemporaneo e quindi entrare nella fatica di superare prassi pastorali ripetitive, discontinue ed emozionali. Ma ho grande fiducia»

"Pane e non coriandoli" è il titolo della sua lettera pastorale del 2012. Sembra una metafora tra la visione superficiale della vita e l'impegno nella fede in Cristo. La foto del bimbo in copertina esprime una perplessità. È così difficile discernere le due cose?
«È difficile perché viviamo in un tempo poltiglia dove tutto sembra equivalersi e si è continuamente chiamati a scegliere, nella fede e nella vita, affinché ci si nutra di solidità e non di bollicine».

Cosa pensa del sermone di Adriano Celentano a Sanremo durante il quale ha affermato che la Chiesa parla poco di Dio e molto di cose terrene, provocando reazioni e polemiche?
«Non ho visto il festival di Sanremo. La sera del sermone leggevo Dostoevskij. Dire che la Chiesa non parli di Dio è di una banalità spaziale. Il fatto è che per un cristiano Dio si è incarnato e si è compromesso con il mondo. Di conseguenza, la fede è incontrare, celebrare, vivere e testimoniare Cristo compromettendosi nel mondo e per il mondo. È un'ovvietà elementare».

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