Cristina che restituisce i nomi ai morti

17 Aprile 2019

Ci sono persone intorno a noi che si immergono, ogni giorno, nelle tenebre e ne riemergono come santi laici capaci di prendere su di sé parte del non condiviso peso del mondo. Sono tenebre spirituali quelle in cui affonda mani e occhi nel suo lavoro una donna come Cristina Cattaneo, medico legale di delitti celebri e dei migranti morti in mare. La Cattaneo è direttrice del Labanof, il Laboratorio di antropologia e odontologia forense, e negli ultimi mesi si è impegnata a dare un nome ai 1.400 migranti affogati nel Mediterraneo il 3 ottobre 2013 e il 18 aprile 2015. «Non ci sono autopsie di serie A o B», ha raccontato al Corriere della Sera, «dare un nome ai morti prima di seppellirli è un dovere di civiltà che si assolve soprattutto per i vivi. È un fatto di salute mentale: i parenti hanno bisogni di piangere su una tomba». Dare un nome e una sepoltura certa ai morti è l’arte che pratichiamo per non recidere il fragile filo che lega l’una all’altra le generazioni. In una sua poesia, Emily Dickinson parla di questo farmaco spirituale che cura e nutre le vite dei sopravvissuti: «Come presso i morti amiamo sedere/Divenuti così incredibilmente cari/Come ai perduti ci aggrappiamo/Nonostante tutti gli altri siano qui/In scorretta matematica/ Valutiamo il nostro tesoro/Vasto - nella misura in cui si dissolve/Ai nostri occhi impoveriti!».
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