De Crescenzo e l’elogio del cambiamento
I saggi, in questa interminabile stagione dello scontento italiano, sembrano essersi taciuti come per dispetto. Per trovarne ancora qualcuno bisogna setacciare le effimere cronache dei tempi che corrono. Ci si imbatte così in un’intervista a Luciano De Crescenzo. L’ex ingegnere dell’Ibm trasformatosi in scrittore l’ha rilasciata al Mattino per i suoi 90 anni. In essa De Crescenzo tesse l’elogio del cambiamento: «Ognuno di noi ha la possibilità di reinventarsi. Certo, ci vuole un pizzico di fortuna, ma se a un certo punto ci rendiamo conto di non essere felici, dobbiamo fare di tutto per concedere a noi stessi una seconda possibilità» Perché si rinuncia a una carriera di dirigente alla Ibm per far un salto nel vuoto? «La verità è che mi annoiavo», spiega lo scrittore. «Ero circondato da bravissime persone, sia chiaro, ma ai miei occhi sembravano tutte uguali, identiche nei gusti e nei comportamenti. Spinto dal desiderio di novità, decisi di lasciare il lavoro e dedicarmi completamente alla scrittura». Tenere aperta la porta all’impossibile: è una preziosa lezione in un’Italia che sembra aver eletto a proprio simbolo l’Angelus Novus di Klee che, procedendo verso il futuro, ha lo sguardo fisso sul passato dove, scrive Walter Benjamin, «egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi».
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