Il comunicato in esclusiva al Centro che può cambiare le sorti della Siria
Un messaggio della minoranza Alawita a non opporre resistenza ma, al contrario, ad accogliere gli insorti che si apprestano a prendere le redini del governo. Un’esclusiva che arriva dall’Abruzzo e che può cambiare il destino non solo di Damasco, ma dell’intero Medio-oriente
Un comunicato di appena 25 righe che possono, però, cambiare le sorti della Siria e persino del Medio-oriente. La minoranza Alawita invita alla distensione il popolo siriano nei confronti del nuovo potere, che si è instaurato dopo la fuga di Assad. E’ un appello alla popolazione a non spargere nuovo sangue ed accettare l’ingresso in Siria di un gruppo jihadista affiliato ad Al-Qaeda.
Questa minoranza ha scelto il quotidiano “Il Centro” per diramare questo appello. E’ lo stesso Corriere della Sera che lo cita e lo riconosce. La traduzione del concetto principale del comunicato (qui in foto): “Pensate solo all'unità e al futuro della Siria, non opponete resistenza, anzi date una mano ai nuovi governanti e non create disordini”. Così ce lo ha sintetizzato colui che ce lo ha concesso in esclusiva, l’ex assessore regionale ai lavori pubblici con delega ai Paesi del mediterraneo Mimmo Srour, venuto in Italia dalla Siria quando aveva 19 anni. E’ un comunicato che può evitare la deflagrazione del Paese e garantire la pace. E’ un comunicato che può cambiare le sorti di milioni di persone.
Qui di seguito riportiamo l’intervista di Cristina Di Stefano a Mimmo Srour, pubblicata nell’edizione di oggi.
Srour, il governo è crollato. Assad è morto?
No, da quello che so potrebbe essere in Russia, a Mosca, perché sua moglie è lì per curare un tumore.
E l’aereo con Assad caduto?
Come molte altre non è una notizia attendibile.
Arriverà una tirannia peggiore?
Potrebbe essere mille volte peggio, forse non si potrà più mettere piede in Siria.
Un nuovo regno di tagliagole?
(indugia un attimo prima di rispondere) Questa probabilità c’è.
Che emozioni prova?
Ho anche odiato. Io in Siria sono nato e cresciuto. Avevo 18 anni quando ho lasciato la mia terra per venire a studiare all’Aquila ingegneria. La Siria è la mia infanzia. Sono italiano ma resto legato alla casa dove sono nato. È banale dire che 55 anni ti formano, ti cambiano, non ricordi neanche più la lingua come dovresti ma, questo non toglie il legame.
Teme per i suoi cari?
Certo, temo per tutti. Per i miei fratelli e i miei parenti. Stanno vivendo momenti drammatici. Vede, in Siria ci sono trentasette fazioni etniche e religiose completamente diverse tra loro, una parte laica e una parte jihadista fino al midollo. Lo stesso leader dei ribelli Abu Mohammed al-Jolani viene da Al Qaeda, un’organizzazione terroristica, quindi come fai a non temere quello che può succedere?
Ripercorriamo gli ultimi 10 giorni.
Sì, tutto è partito da Aleppo, simbolo della convivenza tra molte religioni ed etnie, dove l’esercito siriano, contrariamente a quanto fatto negli ultimi anni, non combatte, non resiste all’avanzata dei… (ha un latro momento di esitazione) … li chiamo ancora jihadisti e li fa entrare.
È stata una resa immediata?
Sì, non è stato sparato un colpo. Le notizie dirette, non di agenzie quindi finalizzate, dicevano che stava accadendo qualcosa, perché il comportamento dei militari siriani era diverso dalla guerra a cui avevamo assistito dal 2011.
Avevano cominciato a trattare?
Per cominciare avevano evitato ogni contatto con la gente. Poi tre giorni fa ad Homs, dopo un iniziale combattimento, consegnano la città ai ribelli. Homs è importante perché collega la costa a Damasco, perché è la culla di molte e diverse religioni. È come Bologna per l’Italia, un crocevia, i governativi non potevano perderla e di conseguenza abbiamo pensato che lì ci sarebbe stata la grande battaglia.
Ed è lì che sono cominciate le notti insonni?
Le notti insonni sono cominciate molti anni prima…
Torniamo a tre giorni fa.
Contemporaneamente in Qatar erano riuniti Turchia, Russia e Iran. Hanno trattato la resa di Assad.
Questo cosa ha significato?
Lasciare il potere in Siria. L’esercito siriano ha abbandonato le sue posizioni e consegnato Homs a quelli che fino ieri si chiamavano ribelli. Dopo pochi giorni, a mezzanotte, sono arrivati a Damasco con le immagini che oggi vediamo in televisione. E anche lì l’esercito non ha opposto resistenza mentre Assad era già fuggito. Ed è cominciata la paura soprattutto per le minoranze religiose, quelle cristiane e alawite. Ma qui c’è stato il miracolo.
Quale miracolo?
Quello della minoranza Alawita che domina le città della costa perché con un comunicato che vi giro, in esclusiva, invitano, senza se e senza ma, i loro fedeli a non opporre resistenza e pensare solo all’unità e al futuro della Siria. Anzi a dare una mano ai nuovi governanti e non creare disordini.
I disordini ci sono stati?
Sì, ci sono stati saccheggi, soprattutto sulla costa. Attaccati edifici pubblici con un tentativo anche all’Ambasciata Italiana. Sono usciti tutti i detenuti dalle carceri, non solo politici ma anche criminali e immediatamente sono iniziati i saccheggi anche nelle abitazioni. Perciò adesso c’è il coprifuoco. Non in tutta la Siria solo in alcune zone come Damasco e sulla costa. Ad Aleppo per esempio non c’è come ad Homs.
A Tartous, sua città natale, cosa è successo?
Anche loro sono usciti a manifestare la disponibilità verso il nuovo corso.
E il popolo che oggi esulta?
Il popolo siriano da 13 anni soffre, e qui mi permetta di dirlo, per colpa dell’America e dell’occidente. Ha patito le pene dell’inferno.
Cosa intende?
Che la pagnotta che tu ogni giorno devi procurare per i tuoi figli è diventata un sogno. I siriani sono un popolo alla fame, la gente oggi esulta con la speranza di un cambiamento. Assomiglia molto all’Afghanistan. Il rischio era di distruggere completamente quel paese. Adesso tutti sperano di poter tornare a vivere. Mi auguro un nuovo ordine. A sentire la mia gente, tutti i componenti della società, anche quelli che non gradiscono il colore del nuovo arrivato, sono d’accordo che non deve accadere ciò che è accaduto in Iraq dopo la caduta di Saddam. L’esercito deve rimanere, l’università, le scuole, la sanità devono continuare a lavorare.
Ora chi sta governando?
I ribelli hanno chiesto al primo ministro e ai ministri attuali di continuare, forse per qualche giorno per facilitare un governo di transizione. Hanno invitato tutti i dipendenti pubblici, gli operai a tornare al lavoro. Sono segnali assolutamente forti che fanno sperare.
Per non distruggere quanto rimasto?
Il rischio era quello. Ma la volontà è di salvare ciò che non è stato distrutto dagli anni di guerra civile. Oggi non c’è più ideologia, nessuno ne ha più bisogno. Hanno bisogno di mangiare perciò sono mossi tutti dalla speranza, quella che la Siria possa tornare a vivere. Il nostro è un paese antico che ha dato un contributo fondamentale alla civiltà. Ha inventato l’alfabeto. È un paese che non merita di essere annientato come stavano facendo.
Cosa ne pensa del nuovo leader?
(sorride) È un jihadista come tutti i jihadisti. Laureato in scienze religiose.
Governerà lui?
Dall’accordo che è stato raggiunto tra Turchia, Iran e Russia con il benestare di altri 5 paesi arabi sembra di no, anche se per me non è così, lui parteciperà.
Cosa serve ora in Siria?
Le emergenze sono di ogni tipo, il popolo oltre a 13 anni di guerra civile ha affrontato anche un terremoto. Lì manca tutto. E la gente che vediamo oggi nelle immagini entusiasta che festeggia lo fa perché pensa che da domani Turchia, Arabia Saudita e Qatar possano aiutare concretamente la rinascita del Paese.
E i 4 milioni di siriani fuggiti in questi anni?
Molti oppositori al regime stanno già tornando e se gli aiuti arriveranno, se l’economia del paese riprenderà a marciare, se toglieranno le sanzioni occidentali di sicuro questa gente non avrà più bisogno di stare fuori e tornerà a lavorare in Siria.
Non ci sono troppi se?
(sospira) Purtroppo sì.