L’appello Alawita, il pluralismo di Al-Sharaa ed il futuro della Siria: un’altra guerra è impensabile
Un filo diretto tra l’Abruzzo e la Siria porta con sè un invito alla pace ed alla colaborazione. Il Paese è martoriato da quasi 15 anni di guerra civile e da un recente e devastante terremoto, bisogna evitare lo spargimento di nuovo sangue
L’AQUILA. Dall’Abruzzo al golpe che si è appena realizzato in Siria. Un filo che unisce queste due terre lontanissime, separate da chilometri e chilometri di mare e di terra, da culture e regimi profondamente diversi. Sembra inverosimile, eppure un collegamento c’è. Nel corso dell’intervista pubblicata nell’edizione di ieri, l’ex assessore Mimmo Srour, arrivato dalla Siria a 19 anni, ci ha consegnato in esclusiva un documento della minoranza Alawita – dominante nella zona costiera del Paese – in cui si invitano i fedeli ad accogliere, senza opporre resistenza, gli insorti che hanno rovesciato il governo di Assad.
Il concetto è chiaro: "Pensate solo all'unità e al futuro della Siria”. «Hanno chiesto ai loro fedeli – ci ha spiegato Srour sintetizzando il messaggio degli Alawiti – di non opporre resistenza, anzi di dare una mano ai nuovi governanti e non creare disordini”. Un invito alla calma e alla collaborazione che potrebbe stupire, vista la provenienza politico-culturale degli insorti.
Tra i ribelli, infatti, il gruppo più potente è quello di Hayat Tahrir al-Sham, o Hts, seguito dal gruppo di milizie siriane sostenute dalla Turchia chiamato “Esercito nazionale siriano”. L’Hts nasce sostanzialmente come una costola di Al-Qaeda, ma negli ultimi anni ha provato a distaccarsene. O almeno così afferma il suo leader, Abu Mohammed al Golani (ma che ora si fa chiamare col suo nome di nascita, Ahmad al-Sharaa), 42 anni, che in un’intervista esclusiva rilasciata alla Cnn lo scorso giovedì ha dichiarato che l’insurrezione mirava solamente a rovesciare il governo di Assad. Certo, il passaggio da membro della jihad a campione del pluralismo della tolleranza non è semplice, ma al-Sharaa sta provando a proporsi all’opinione pubblica internazionale in queste nuove vesti. Chiede di essere intervistato dai media occidentali e ha abbandonato il suo nome da combattente per tornare a quello di nascita. Segnali di allontanamento dall’estremismo islamico.
Certamente questo è ancora poco per guadagnare credibilità. Anche Assad nel 2000, quando era appena salito al ruolo di Presidente, aveva promesso che per la Siria si sarebbe aperta una fase riformatrice, al punto da lasciar intravedere la normalizzazione dei rapporti con Israele. La storia poi ci ha raccontato diversamente.
Srour ha molti dei suoi parenti, tra cui i fratelli, in Siria. Segue quindi la vicenda con molta preoccupazione. La Siria è un mosaico di 37 fazioni religiose diverse, caratteristica comune a molti Paesi arabi e che ne spiega l’instabilità (ad eccezione di Paesi come la Turchia o l’Iran, che hanno una lunga tradizione statale); ma gli ultimi 14 anni di storia hanno reso la situazione ancora più drammatica: martoriata da una guerra civile che, a fasi alterne, è andata avanti dal 2011, con diversi attori che si sono alternati nel ruolo di protagonisti (si ricordi l’ISIS, che, tra il 2013 e il 2014, aveva proclamato la nascita del Califfato in una zona vastissima che si estendeva tra l’Iraq e la Siria). Solo l’intervento decisivo della Russia negli ultimi mesi del 2015, insieme al sostegno di Teheran, avevano evitato la capitolazione di Assad. Ma da allora la situazione non si è mai normalizzata. Come se una guerra intestina più che decennale non fosse sufficiente, il devastante terremoto dell’anno scorso ha ulteriormente aggravato la situazione.
Il risultato di questo conflitto è stata la fuga di circa 5 milioni di siriani dal Paese. La maggior parte di loro è andata – o almeno ha provato – a cercare rifugio in Europa. E basta dare un’occhiata ai dati per comprendere le ragioni di questa fuga di massa: 350.209 persone sono state uccise nel conflitto in Siria tra marzo 2011 e marzo 2021 (Unicef). Quasi una persona su 13 era un bambino. 7,2 milioni di persone sono sfollati interni; l’insicurezza alimentare colpisce almeno il 60% della popolazione e il 45% beve dell’acqua dall’origine non sicura. Quasi 2,5 milioni di bambini non vanno a scuola (Save the Children).
Dunque, la Siria ha un eccezionale bisogno di stabilità, ne hanno bisogno gli uomini, le donne ed i bambini che ancora non sono fuggiti dal Paese, rischiando la vita ogni giorno. Da un posto così lontano come l’Abruzzo si è diffuso un messaggio di calma e collaborazione con le nuove forze che si apprestano a governare il Paese. Basterà? Non lo sappiamo, certamente, però, il proseguimento della guerra civile è impensabile. Molti siriani metterebbero a rischio l’unica cosa che gli è rimasta: la propria vita.