Il dottor Paglia sulla trincea del virus
«Sono in trincea dal primo giorno, vedo mia moglie e le mie figlie solo su Whatsapp. Qua nessuno si è tirato indietro». Stefano Paglia ha occhiali da pretino di altri tempi e basette da rockettaro anni Settanta, ma di mestiere fa il medico. È il direttore del pronto soccorso di Lodi e Codogno nella zona rossa, quella più colpita dalla diffusione del coronavirus, sotto il cielo di Lombardia «così bello quand'è bello». Dal 20 febbraio è in prima linea per contrastare l’emergenza, Stefano Paglia. A lui e a quelli come lui che, da due settimane, non distinguono il giorno dalla notte, dobbiamo la nostra riconoscenza. Anche perché, come un italiano antico, non esibisce il suo eroismo. «Quelli che lavorano con noi hanno dato il massimo», ha detto ieri al Corriere della Sera. «Dalle persone che sanificano l’ambiente alla mattina, ben consapevoli della situazione, per finire con i medici, gli infermieri, le operatrici sanitarie. Anche i pazienti capiscono e cercano di darci una mano con i loro comportamenti. Io ho lavorato in questo tempo con una specializzanda che ha preso servizio il primo marzo, con infermieri che erano qui da 30 giorni e con una che ha addirittura avuto il suo primo turno in una delle notti peggiori. Tutti ci hanno messo molto poco a capire il cambiamento della realtà. E sono rimasti in servizio».
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