La risposta del Washington Post alla nuova linea di Bezos

1 Marzo 2025

Jeff Bezos, proprietario del Post e soprattutto di Amazon, aveva comunicato ai suoi giornalisti che la sezione dei commenti sarebbe stata fondata d’ora innanzi su due pilastri: libero mercato e libertà personali. Dopo le dimissioni del responsabile della pagina, Milban si fa carico della risposta

Non è un ammutinamento. Non lo è nei toni e non lo è nel significato. È un avviso: non ci faremo mettere la museruola. Questo è sostanzialmente il contenuto dell’editoriale che Dana Milban, columnist del Washington Post dal 2005, ha pubblicato sulla pagina delle opinioni del quotidiano statunitense a 48 ore dal terremoto che ha scosso la sua redazione. Cosa era successo? Jeff Bezos, proprietario del Post e soprattutto di Amazon, aveva comunicato ai suoi giornalisti che la sezione dei commenti sarebbe stata fondata d’ora innanzi su due pilastri: libero mercato e libertà personali. Una direttiva che ha portato alle dimissioni di David Shipley, responsabile della pagina. Quella di Milban è la risposta a questo scossone.

L’editoriale ha un carattere anglosassone, aggressivo ma sobrio. Si basa sui fatti, non su illazioni. E trova spazio nell'ambiguità del diktat di Bezos, che strizza l’occhio a Trump ma senza farlo apertamente. E allora, se non voglio mordere la mano che mi nutre, posso azzannare quella che minaccia la libera stampa.“Nelle ultime 48 ore”, scrive Milban, “ho ricevuto da lettori e amici messaggi che si inviano a chi ha perso un persona cara o a chi ha ricevuto una diagnosi terminale. ‘Mi dispiace molto’. ‘Ti mando forza e amore’”. Questa nuova linea basterà a cancellare la tradizione di “dibattito aperto” che caratterizza la sezione delle opinioni per farla diventare un “friendly outlet” del movimento Maga? Milban si smarca: “Non ne sono certo”. Ma poi arriva la stoccata: “Libertà personali e mercato libero sono parte del credo americano. Se noi come giornale, e come Paese, vogliamo difendere questi due pilastri gemelli, dobbiamo intensificare la nostra lotta contro l’unico e più grande nemico delle libertà personali negli Stati Uniti d’America: il presidente Donald Trump”. A supporto della sua tesi Milban elenca una serie di fatti che danno solidità al pezzo. Come la scelta del tycoon di limitare alle sole testate amiche il diritto di seguire il Presidente più da vicino, nello studio ovale e nei suoi viaggi sull’Air force one. Il provvedimento, che segue l’esclusione dei giornalisti dell’Associated Press rei di essersi rifiutati di chiamare Golfo d’America il Golfo del Messico, calpesta il diritto alla libertà della stampa. Un diritto che -non è casuale- la Costituzione americana garantisce nel primo emendamento. Il suo rispetto, scrive Milban, distingue i governi democratici da quelli autoritari. Allo stesso modo, l’imposizione dei dazi contro Canada, Messico e Ue è l’antitesi dell’idea di libero mercato di cui Trump si è proclamato interprete e Bezos protettore. Con questo stratagemma retorico Milban, senza attaccarlo apertamente, rigira il diktat contro il suo capo, puntando il dito verso il Presidente a cui Bezos ha solamente alluso. È Post-verita contro post-verità: se bisogna difendere libertà economica e libertà personali, questa è la linea editoriale che il giornale dovrebbe adottare. Una scelta di campo che obbliga il padrone di Amazon a fare lo stesso: democrazia o democratura, per l’ambiguità non c’è più spazio. Alcuni pensano che Milban verrà licenziato. Staremo a vedere.  Humphrey Bogart in un vecchio film è ottimista: “È la stampa bellezza. La stampa. E tu non ci puoi fare niente”.