La trama segreta del ricordo degli eroi

7 Luglio 2019

«Quando uscivo di casa con lui mi lanciavo in strada per prima, in modo che se qualcuno avesse sparato avrebbe colpito me al posto suo». Fiammetta Borsellino aveva 19 anni quando, il 19 luglio di 27 anni fa, suo padre, Paolo, fu ucciso insieme con 5 agenti della sua scorta, in un attentato mafioso in via D’Amelio a Palermo. Fiammetta Borsellino ha ricordato suo padre, il grande magistrato antimafia, in un’intervista pubblicata da 7, il settimanale del Corriere della Sera. «A 13 anni», ha detto, «volevo viaggiare da sola, papà cercava di frenarmi e mi diceva: “Ma dove vai”? Se poi m’ammazzano come fanno ad avvisarti?”. Era un modo per trattenermi, ma anche per esorcizzare il pericolo». Succede che gli eroi di un Paese restino anche e soprattutto uomini qualunque per chi li conobbe e amò. Il lutto collettivo è sempre infinitamente più lieve di quello personale, familiare. In chi le amò il vuoto lasciato dalle persone entrate nel pantheon degli eroi di una nazione è innanzitutto un’assenza di cose minime e care: un colpo di tosse dopo aver acceso una sigaretta, l’odore del dopobarba, il rumore dei passi sulle scale tornando a casa. Frammenti di conversazioni, ignoti spesso a chi ne onora l’eredità pubblica, ma che sono sostanza della trama del ricordo di chi divise con loro le gioie e i dolori della vita di tutti i giorni.
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