Marella Agnelli e quello stile perduto

24 Febbraio 2019

Lo stile è un destino che si abbraccia, spesso senza volerlo, fin dall’infanzia e che accompagna per sempre chi ne resta prigioniero. Di questo incantesimo è stata prigioniera Marella Agnelli, morta, ieri, all’età di 92 anni. Nata Caracciolo di Castagneto, ha trascorso la vita all’ombra di un uomo ingombrante come Gianni Agnelli, condividendone l’agiatezza; mai, tuttavia, esibendola, consapevole com’era che lo stile prescinde dal lusso. Era uno dei “Cigni” cantati da Truman Capote, Marella Agnelli. Parlando di lei con l’Huffington Post, la scrittrice Dacia Maraini, ieri, ha detto: «L'ho sempre vista come una regina che tiene all'armonia dell'insieme mettendo da parte ogni vendetta. Per farlo, ci vuole una gran forza di volontà, una gran capacità e costanza, ma lei ci è riuscita». Un’altra scrittrice, Cristina Campo, investigando l’essenza di ciò che chiamiamo stile, scriveva nel “Flauto e il tappeto”: «Lo stile, disse una volta d'Annunzio, e non sapeva di definire in cinque parole l'etica della sprezzatura, è potenza isolatrice». Armonia e potenza isolatrice sono doti spirituali sempre più rare oggi, le sole capaci però di definire il dono della sprezzatura che, secondo la Campo, è null’altro che «un ritmo morale, è la musica di una grazia interiore». Il segreto di quel ritmo, la grazia di quella musica non erano ignoti a Marella Agnelli.
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