L’INTERVISTA

L’intervista a Nicolas Ballario, l’allievo di Oliviero Toscani: “Più di un maestro, mi ha cambiato la vita»

15 Gennaio 2025

Il critico d’arte Ballario racconta al Centro l’amicizia con il genio della fotografia: «La malattia per lui era una gabbia, mi chiedeva: Nicolas, sono ancora lucido?»

«È la persona che ha influito di più sulla mia vita, nessuno me l’ha cambiata come ha fatto lui. Spero che sapesse quanto gli sono grato».

Per tanti, Oliviero Toscani è stato “solo” il miglior fotografo italiano di sempre. Per il critico d’arte Nicolas Ballario è stato molto di più. Conosciuto da giovanissimo ai tempi della militanza nel Partito radicale, a 22 anni Toscani lo ha scelto come suo allievo prediletto e lo ha portato con sé alla Sterpaia. Da lì l’inizio di un rapporto che è andato ben oltre quello tra allievo e maestro. Ballario lo racconta al Centro due giorni dopo la morte del genio.

Nicolas, ti sei mai arrabbiato con Oliviero?

Ciclicamente. Ogni 3-4 anni c’era una lite furibonda e per 6 mesi non parlavamo. Ma dopo le litigate facevamo sempre pace.

Chi si arrabbiava di più, di solito?

Era più lui ad arrabbiarsi con me. E io gli davo anche qualche motivo: avevo 22 anni quando sono entrato alla Sterpaia, ero nello studio dove chiunque voleva andare. Me la tiravo un po’…

Facevi il “galletto”.

Proprio così. Io alzavo la cresta, ma lui ci metteva un attimo a riabbassarmela (sospira, ndr). Era un uomo difficile ma meraviglioso.

C’è stata una litigata dopo la quale hai pensato: “Basta, con Oliviero ho chiuso”?

Sì, non è stata neanche troppo tempo fa, ma non te la racconto.

E un’incazzatura storica?

Una di quelle che mi ricordo meglio è anche una delle più divertenti. Risale sempre all’epoca in cui facevo il galletto alla Sterpaia.

Racconta.

Un imprenditore milanese - molto noto - aveva un appuntamento con Oliviero nel pomeriggio. Io l’avevo chiamato la mattina per organizzare l’incontro e lui mi aveva avvisato del rischio che potesse arrivare un po’ a rilento perché si era rotto una gamba.

La storia promette bene.

Aspetta. Ai tempi la rassegna stampa era cartacea: ogni mattina bisognava stamparla e poi era messa a disposizione di tutti su un grande tavolo di legno, all’ingresso. Allora, per fare uno scherzo ai colleghi chiesi al grafico di stampare una finta prima pagina del Corriere della Sera e di metterci come apertura: “Noto imprenditore milanese attaccato da uno squalo, salvo per miracolo”.

Non dirmi che…

Quella prima pagina è finita nelle mani di Oliviero, che ha letto per primo la notizia. Quando è arrivato l’imprenditore, lo è andato ad accogliere: “Ho letto la notizia dello squalo, ma come hai fatto a sopravvivere?”. L’imprenditore, sbigottito, gli risponde: “Oliviero, ma sei matto? Sono caduto nella doccia” (ride fragorosamente, ndr).

Avrai pensato qualcosa del tipo: “Bene, la mia carriera qui è finita”.

Esattamente. E invece è stata una delle volte in cui ha sbollito prima.

E dopo la Sterpaia?

Altra litigata. Una di quelle cicliche. Una pausa di 6 mesi e abbiamo ripreso a parlare. Poi di nuovo insieme, più uniti di prima. E abbiamo fatto la trasmissione su Radio Radicale.

Già, la trasmissione. Come siete finiti a fare un programma insieme?

Questa è un’altra bella storia. Ho dovuto mentire a Bordin, l’allora direttore di Radio Radicale, per farla. E a Oliviero l’ho tenuto nascosto per anni.

Ti ascolto.

Io militavo nel Partito radicale e anche lui era un iscritto. Era già una star e io volevo conoscerlo a tutti i costi. Sfruttai tutti i miei contatti e riuscii finalmente ad incontrarlo. Costruimmo subito un bel rapporto. E a un certo punto mi chiese di dire a Bordin che voleva fare un programma radio.

Fino ad ora non mi sembra di sentire alcuna bugia.

Ora ci arrivo. Allora andai da Bordin e gli dissi che il maestro Toscani voleva fare un programma radio – richiesta ovviamente accolta – ma aggiunsi che pretendeva di condurlo con me.

E lui non ha mai saputo nulla fino a quando non glielo hai detto?

No, ma forse si sarebbe fatto una risata. Io, nel dubbio, ho aspettato che la bugia andasse in prescrizione. E quando gliel’ho detto lui ha fatto ridere me.

Come?

Tra i tanti lavori fatti da Oliviero per Benetton, uno era composto da cinque foto di Pinocchio, ognuno di un colore diverso. Me lo ha regalato con una dedica: “Al sesto Pinocchio”.

Un rapporto che va oltre quello classico tra allievo e maestro. Quando hai capito che eravate diventati amici?

Direi quasi subito. Ho avuto la fortuna di conoscerlo per vie traverse e non tramite l’invio del curriculum. Questo ha facilitato le cose (sospira melanconicamente, ndr). Sai, lui è stato il mio maestro, ma a me mancherà soprattutto come amico.

Quando lo hai visto l’ultima volta?

Lo scorso martedì. Sono andato a trovarlo a casa sua. Stava anche meglio, aveva ripreso qualche chilo e parlava in maniera più fluida. Abbiamo chiacchierato per ore di un po’ di tutto.

Cosa ti è rimasto impresso della conversazione?

Una domanda che mi faceva insistentemente: “Nicolas, sono ancora lucido?”. Io cercavo di tranquillizzarlo, ma il pensiero di perdere il controllo lo tormentava.

Ti sei fatto un’idea del perché?

Perché aveva paura di perdere il controllo. Il controllo per lui era tutto. Avere il controllo significava potersi muovere.

Immagino che la malattia che lo ha debilitato (amiloidosi, ndr) sia stata particolarmente dura per lui.

Si sentiva come un animale in gabbia. Nell’ultimo periodo non poteva più muoversi. Ma l’oggetto più importante che aveva, l’unico a cui non poteva comunque rinunciare, era il proprio passaporto.

Un viaggio che ti è rimasto particolarmente impresso nella memoria?

Sai, di viaggi ne abbiamo fatti tanti, tantissimi. Più che le destinazioni mi ricordo la strada per raggiungerle. Soprattutto quelli in macchina. Lui amava guidare, ma andava ad una velocità folle (ride ancora, ndr).

E in macchina dove ti portava?

Spesso andavamo insieme a Roma per mangiare nelle osterie della città. Oliviero amava la strada e suoi frequentatori. Sai che regalo gli abbiamo fatto per i suoi 80 anni?

No, cosa?

Lui era un uomo sorprendente, ma quella volta abbiamo sorpreso lui. Senza dirgli niente abbiamo organizzato una mostra per lui all’aperto, in giro per la città di Milano. Lo abbiamo convinto con una scusa a venire a piazza Duomo e si è trovato davanti un bus appositamente brandizzato, con i suoi amici più cari a bordo. Quella volta si è commosso.

C’è una sua caratteristica che nella sua immagine pubblica è passata sottotraccia?

Era un uomo esigente ma anche generosissimo. A me ha dato tanto. Ma se c’è una caratteristica di Oliviero che solitamente non si sottolinea è la sua simpatia. Aveva la battuta sempre pronta, a volte scorretta, ma se eri a cena con lui potevi stare tranquillo che sarebbe stato il mattatore della serata.

E gli amici?

Ne era pieno. Con Francesco Merlo c’era un rapporto di fratellanza. Anche Gad Lerner, Paolo Crepet e Umberto Montano erano amici cari. Mi disse di sentirsi più solo dopo la morte di Aldo Coppola e di Elio Fiorucci.

Manchi tu in questa lista.

Io gli volevo bene e lui ne voleva a me. E’ la persona che ha influito di più sulla mia vita, nessuno me l’ha cambiata come ha fatto lui. Spero che sapesse quanto gli sono grato. Ti racconto un’ultima cosa.

Vai.

Qualche tempo dopo l’esperienza a Radio Radicale, l’allora direttore di Radio Rai gli propose di fare un nuovo programma. Lui accettò ma a condizione che io andassi con lui. Il direttore rispose che non si poteva fare perché io non avevo la matricola che mi serviva per lavorare in Rai, per cui se voleva un supporto giornalistico, poteva scegliere tra uno dei redattori. Allora minacciò di tirarsi indietro.

In altre parole, ha reso vera la bugia che anni prima avevi dovuto dire per lavorare insieme.

Esattamente. Il direttore Radio Rai era un uomo intelligente. Quando capì che Oliviero era inamovibile accettò la mia partecipazione. Un altro motivo per cui gli sono grato.

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