Se un’auto distrutta spinge al suicidio
Ha distrutto l’auto del padre e si è ucciso, forse, per il senso di colpa. A.D, 23 anni, impiegato in un supermercato, viveva a Fossombrone nelle Marche ma era originario della provincia di Foggia. L’altra sera, è finito fuori strada con la Volvo del padre, acquistata un mese fa, finendo contro un palo. Qualche ora dopo, si è impiccato nella sua casa dove viveva da solo. Il suicidio è un mistero che ci illudiamo di decifrare. Spesso, però, ci sfuggono le ragioni vere che spingono a togliersi la vita. L’altro mistero, in questa storia, è quello della colpa. Il senso di colpa, infatti, può essere crudele quanto l’improvvisa insorgenza del male che, immesso nel mondo, chiede di essere compensato da un’assunzione di responsabilità. Quel sentimento Dostoevskij lo descrive così in “Delitto e castigo”, parlando di Raskol’nikov, lo studente omicida protagonista del suo romanzo: «Una certa angoscia speciale aveva cominciato a farglisi sentire negli ultimi tempi. Essa non aveva nulla di caustico, di bruciante; ma ne spirava un non so che di continuo, di eterno, il presentimento di anni di quella fredda e assiderante angoscia senza uscita, il presentimento di non so quale eternità da passare sopra «un metro quadrato di spazio». E aggiunge: «Di solito nelle ore serali questa sensazione cominciava a torturarlo con più forza ancora».
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