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15 ottobre

Oggi, ma nel 1987, a Conca di Crezzo, in quel di Lasnigo, in provincia di Como, nel cosiddetto triangolo Lariano, a quota 750 metri, alle 19.30, precipitava, per stallo, a causa del ghiaccio formatosi sulle ali, l’aereo Atr 42-312 Colibrì (nella foto, particolare, uno dei soccorritori intento ad individuare, in Val Ferrera, i resti della fusoliera con la sigla identificativa).
Il mezzo era contrassegnato con la sigla Az 460 ed era chiamato Città di Verona. Era di proprietà dell’Ati, Aero trasporti italiani, società facente capo per il 90 per cento ad Alitalia e per il restante 10 all’Istituto di ricostruzione industriale. Era decollato dall’aeroporto di Milano Linate 16 minuti prima dello schianto ed era diretto nello scalo di Colonia Bonn, in Germania.
Il bimotore turboelica, dalle dimensioni contenute, era partito con 53 minuti di ritardo a causa sia del traffico aereo che del maltempo. Trasportava 37 persone, 3 delle quali erano componenti dell’equipaggio e 34 i passeggeri. Questi ultimi erano per lo più tedeschi. I passeggeri italiani erano Martina Castiglia, Vittorio Passeggio, Jennifer e Susanna Seminara- che erano anche le più giovani presenti sul velivolo e che viaggiavano con la madre Martina per raggiungere il padre Antonio che era a Stoccarda per lavoro-, Alberto Rovelli. Morivano tutti. L'incidente diverrà un caso di studio di livello internazionale sui rischi causati dalla formazione di ghiaccio sulle ali.
Dopo il passaggio in Corte di cassazione tutta la responsabilità verrà scaricata sul comandante, Lamberto Lainé, 43 anni, di Roma, e sul secondo pilota, Pierluigi Lampronti, 29, di Trieste, per aver ignorato le basilari procedure previste per evitare il congelamento delle ali. L’aereo aveva avuto il battesimo dell’aria, il 24 aprile precedente, sul cielo di Tolosa, in Francia. Il 14 maggio poi era stato consegnato all’Ati. Nelle operazioni di soccorso si aggiungerà la vittima numero 38, il carabiniere Massimo Berth, di 19 anni, originario di Parma, in servizio di leva nella caserma dell’Arma del capoluogo lombardo. Il decesso, sul colpo, avverrà uscendo di strada con la Fiat Campagnola in dotazione alla Benemerita mentre, insieme ai commilitoni Matteo Salerno e Mario Calandrini, raggiungeva il luogo della sciagura per sorvegliare il perimetro.
Le salme dei 38 sventurati verranno composte nella palestra di Asso e saranno benedette dal cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, insieme al parroco di Barni, don Emilio Lorvetti, che era stato tra i primi ad accorrere al rifugio Madonnina, vicino al luogo del disastro, sede della centrale operativa dei soccorsi, nella speranza che si potesse ancora salvare qualche malcapitato.
Nell’anniversario del 2007 verrà inaugurato a Barni, in quel di Como, il sacrario dedicato ai caduti di quel 15 ottobre 1987, voluto dal comitato fondato, in concomitanza con la ricorrenza del 1990, da Remigio Lampronti, padre di Pierluigi, per onorare la memoria del figlio e degli altri deceduti.