I due aggressori del Megalò confessano ed evitano l’arresto
Il giudice: «Azione ingiustificabile e grave, indagati senza alcun segno di rimorso». Ma sono incensurati: niente domiciliari
CHIETI. Inchiodati da testimonianze e immagini delle telecamere, i due aggressori del centro commerciale Megalò confessano ed evitano l’arresto. Il giudice Andrea Di Berardino, a seguito degli interrogatori previsti dopo l’entrata in vigore della legge che porta il nome del ministro Carlo Nordio, ha deciso di applicare misure cautelari meno afflittive rispetto ai domiciliari richiesti dal pubblico ministero Marika Ponziani nei confronti degli autori del pestaggio a sangue di due fratelli: per un 20enne è scattato l’obbligo di presentarsi tutti i giorni, alle 8.30 e alle 18, alla questura di Chieti; l’amico 21enne è stato invece sottoposto all’obbligo di dimora nel Comune di residenza, ovvero Manoppello, con il divieto di uscire dall’abitazione dalle otto di sera alle sei del mattino.
Le indagini che hanno consentito di individuare i violenti sono state condotte dai poliziotti della volante e della squadra mobile. Entrambi gli indagati devono rispondere di lesioni personali, anche gravi, con l’aggravante «dell’aver agito per futili motivi di gelosia». Sì, perché tutto è nato dal fatto che, secondo il 20enne, le vittime avrebbero guardato «il sedere della sua ragazza dandosi di gomito».
I due aggressori hanno ammesso di aver colpito con pugni in faccia e calci i due fratelli, rispettivamente di 17 e 26 anni, sostenendo però di essere stati provocati dalle vittime. «Si tratta di un’aggressione ingiustificabile», scrive il giudice Di Berardino, «produttiva di effetti molto gravi sui due fratelli», specialmente sul più grande, «che ha trascorso le festività natalizie in ospedale. Essa non trova alcun plausibile movente se non nella personalità incline alla violenza dei due indagati. Il fastidio provocato da uno sguardo e, per ipotesi, da qualche frase da spaccone che uno dei due fratelli potrebbe aver pronunciato non può naturalmente integrare alcuna attenuante o legittima scusante».
Anche secondo il giudice c’è il pericolo che gli indagati possano colpire ancora: «Il rischio reiterativo risiede nella futilità e pretestuosità di una così incontrollata espressione di violenza, che potrebbe tornare a ripetersi in occasioni analoghe e imprevedibili, e nella totale assenza del minimo segno di rimorso in ciascuno dei due indagati, nemmeno a distanza di tre settimane dal fatto e a fronte del clamore da esso suscitato anche per la coincidenza con la ricorrenza natalizia».
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