Azienda condannata per l’infortunio
Atessa. Il giudice: violate le norme sulla sicurezza
Gamba lesionata all’operaia Anticipo danni di 15mila euro
ATESSA. Non è la condanna alla multa che fa male - 400 euro oltre al rimborso delle spese legali - ma il risarcimento dei danni in 15mila euro quale provvisionale (ossia un anticipo), mentre gli altri danni saranno liquidati nel giudizio civile. E’ costato caro al titolare di un’azienda e al responsabile del reparto l’incidente capitato a una dipendente che ha riportato lesioni a una gamba.
Per colpa, consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, e per violazione della norma antinfortunistica, il giudice Francesco Marino ha condannato ieri nel tribunale di Atessa M.R., di Paglieta, e G.T., di Acquaviva delle Fonti (Bari): la prima quale legale rappresentante di una fabbrica di ceramica e il secondo in qualità di responsabile del reparto dell’azienda della Val di Sangro.
I fatti risalgono a giugno di sei anni fa. Una dipendente, N.B., 40 anni, rappresentata in aula dall’avvocato Tommaso Di Nella, durante il lavoro in fabbrica venne mandata a verificare le cause del blocco improvviso dell’impianto di caricamento delle piastrelle in ceramica. Ma mentre la giovane effettuava gli accertamenti richiesti, fu travolta da un carrello contenitore sistemato sul binario vicino che, all’improvviso, si era messo in movimento schiacciandole la gamba sinistra proprio contro il carrello rimasto bloccato.
Nell’infortunio l’operaia riportò lesioni a un muscolo. La donna riuscì a divincolarsi da sola dalla pressione esercitata dal carrello.
Soccorsa dai colleghi di lavoro, fu trasportata nell’ospedale di Atessa per il trattamento della ferita alla coscia. Successivamente fu ricoverata in Chirurgia plastica a Pescara per gli interventi di ricostruzione della lesione. Secondo la Procura di Lanciano, rappresentata ieri dal pubblico ministero Delfina Conventi, la titolare dello stabilimento non avrebbe provveduto a installare i parapetti o, in alternativa, i sistemi di sicurezza come barriere o fotocellule nelle zone vicine all’attraversamento dei binari lungo i quali si muoverano i carrelli contenitori, per evitare rischi di schiacciamento degli operai.
Sempre per l’accusa, il responsabile del reparto non avrebbe disposto che i lavoratori osservassero le norme di sicurezza utilizzando i mezzi di protezione a loro disposizione: tutto l’impianto doveva essere bloccato per garantire l’incolumità dei lavoratori, anche solo per accertare le cause che avevano bloccato l’impianto di caricamento delle piastrelle.
La difesa di G.T. ha sostenuto che non aveva incaricato la ragazza di mettere mano all’impianto per verificare le cause dello stop.
Per colpa, consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, e per violazione della norma antinfortunistica, il giudice Francesco Marino ha condannato ieri nel tribunale di Atessa M.R., di Paglieta, e G.T., di Acquaviva delle Fonti (Bari): la prima quale legale rappresentante di una fabbrica di ceramica e il secondo in qualità di responsabile del reparto dell’azienda della Val di Sangro.
I fatti risalgono a giugno di sei anni fa. Una dipendente, N.B., 40 anni, rappresentata in aula dall’avvocato Tommaso Di Nella, durante il lavoro in fabbrica venne mandata a verificare le cause del blocco improvviso dell’impianto di caricamento delle piastrelle in ceramica. Ma mentre la giovane effettuava gli accertamenti richiesti, fu travolta da un carrello contenitore sistemato sul binario vicino che, all’improvviso, si era messo in movimento schiacciandole la gamba sinistra proprio contro il carrello rimasto bloccato.
Nell’infortunio l’operaia riportò lesioni a un muscolo. La donna riuscì a divincolarsi da sola dalla pressione esercitata dal carrello.
Soccorsa dai colleghi di lavoro, fu trasportata nell’ospedale di Atessa per il trattamento della ferita alla coscia. Successivamente fu ricoverata in Chirurgia plastica a Pescara per gli interventi di ricostruzione della lesione. Secondo la Procura di Lanciano, rappresentata ieri dal pubblico ministero Delfina Conventi, la titolare dello stabilimento non avrebbe provveduto a installare i parapetti o, in alternativa, i sistemi di sicurezza come barriere o fotocellule nelle zone vicine all’attraversamento dei binari lungo i quali si muoverano i carrelli contenitori, per evitare rischi di schiacciamento degli operai.
Sempre per l’accusa, il responsabile del reparto non avrebbe disposto che i lavoratori osservassero le norme di sicurezza utilizzando i mezzi di protezione a loro disposizione: tutto l’impianto doveva essere bloccato per garantire l’incolumità dei lavoratori, anche solo per accertare le cause che avevano bloccato l’impianto di caricamento delle piastrelle.
La difesa di G.T. ha sostenuto che non aveva incaricato la ragazza di mettere mano all’impianto per verificare le cause dello stop.