Chieti, bancarotta Villa Pini: Angelini contro procura e periti

L’ex imprenditore: una persecuzione ordita contro di me per farmi arrivare al processo di Sanitopoli con una condanna per bancarotta fraudolenta

CHIETI. Vincenzo Angelini contro la procura. Il collegio presieduto dalla giudice Patrizia Medica consente all’ex magnate della sanità una dichiarazione spontanea fuori programma e lui non fa sconti a nessuno. Ce l’ha con la procura teatina colpevole, a suo dire, di avere un interesse particolare «a far presto». Si sente vittima di una trama persecutoria ordita ai suoi danni, teme che gli inquirenti vogliano farlo arrivare all’ultima udienza di Sanitopoli con una condanna per bancarotta fraudolenta. Punta il dito contro il commercialista Sergio Cosentino, consulente della procura, reo di «non aver verificato i crediti da 246 milioni di Villa Pini nei confronti della Regione. Se lo avesse fatto non ci sarebbe stato il fallimento e quindi il processo».

Non risparmia il manager della Asl Francesco Zavattaro, che a suo dire non avrebbe voluto anticipare 21 milioni di euro dopo aver proposto il budget.

«Da lì», dice, «iniziarono i guai di Villa Pini». E conclude con un appello accorato alle giudici: «Chiedo il tempo necessario per scandagliare con pazienza le circostanze che hanno portato al fallimento e alla bancarotta».

Poi sparisce e alla prima udienza operativa dopo una lunga serie di rinvii restano solo la figlia Chiara e la moglie Annamaria Sollecito. Le due entrano ed escono dall’aula stando bene attente a non far rumore con i tacchi alti. Quando assistono alle escussioni dei testi sono chinate sugli smartphone, forse per raccontare al congiunto l’andamento dell’udienza. Insieme a loro sono imputati i componenti del collegio dei revisori dei conti Lorenzo Appignani, Guglielmo Ascione, Eugenio Fermo e Giovito Di Nicola. Il dibattimento riprende da dove era stato lasciato a novembre, con Gianluca Zelli controinterrogato dagli avvocati Sergio Menna e Iole Di Bonifacio per la famiglia Angelini-Sollecito, affiancati dai consulenti Sergio Spinelli e Pietro Iavarone, e Giovanni Di Biase e Marco Femminella per il collegio dei sindaci. In aula anche Pierluigi Tenaglia, difensore della Unicredit costituitasi parte civile. Gli inquirenti, il procuratore capo Pietro Mennini e il sostituto Giuseppe Falasca, convocano Marco Rovella, commercialista che collaborò con il gruppo Villa Pini dal 1988 al 2009. «La gestione contabile era regolare», racconta il professionista, «c’erano movimenti di contanti fra le varie società ma le operazioni erano tutte nella stessa scrittura e nello stesso giorno, al punto che Cosentino mi ha fatto i complimenti per la chiarezza della contabilità. Angelini non aveva uno stipendio», prosegue, «ma i suoi prelievi erano tutti giustificati». Dice che Angelini o i familiari non avevano conti esteri. Afferma il contrario Berardo Rastelli, fino al 2010 direttore della banca Euroimmobiliare: «Il genero Alessandro Georgiau Kanellos mi raccontò che la famiglia aveva conti in Svizzera». Intanto Annamaria Sollecito scuote la testa contrariata, sussurrando la sua verità. Alla Euroimmobiliare gli Angelini aprirono un conto «con circa 500 mila euro in contanti», dice Rastelli, «spiegando che volevano riservatezza per chiudere quello alla banca di Roma. Mostrai perplessità perché è una banca di investimenti che si rapporta poco con il pubblico».

L’udienza termina verso le 15.30 con la rapida escussione di sei testimoni della difesa: si riprende il 3 maggio. E procura chiede l’audizione dell’imprenditore Nicola Petruzzi per sapere perché nel 2007 fallì la trattativa per l’acquisto di Villa Pini.

Francesca Rapposelli

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