Chieti, il ponte vietato che porta a una sola casa
Come il ponte di via Custoza che si è abbassato di un metro, anche questo attraversa l’Asse attrezzato, ma da decine di anni è abbandonato a se stesso perché la manutenzione costa troppo
CHIETI. L'ingresso è bloccato da due cubi enormi di cemento armato e da un cartello di divieto di transito. L'asfalto è molto vecchio, avrà almeno trent'anni. Ai lati della campata spiccano due “giunti tecnici” dove però manca quasi totalmente la gomma e l'acqua si infiltra per fuoriuscire dalla parte di sotto. Siamo tra gli svincoli di Selvaiezzi e Dragonara. Qui sorge il cavalcavia dell'Asse attrezzato costruito, quasi mezzo secolo fa, per raggiungere una sola casa. Ma costa troppo la manutenzione di un ponte che serve appena una famiglia. Così, da anni, nessuno la fa: le fessure dei giunti restano aperte, l’asfalto è quasi scomparso e, in mezzo ai pilastri, si distingue un grande blocco in cemento che si è staccato.
Dal Consorzio Industriale Val Pescara riceviamo una sola risposta laconica: «Quel cavalcavia è attenzionato». Cioè rappresenta un rischio per la superstrada che collega Chieti a Pescara e per un fiume di migliaia di auto che, ogni giorno, la percorrono. L'inchiesta del Centro sulla sicurezza delle infrastrutture racconta oggi questa seconda storia, dopo la prima che è servita per rinfrescare la memoria denunciando, all’indomani della tragedia accaduta a Lecco, la situazione del cavalcavia di via Custoza la cui rampa sta sprofondando (da anni) e il dislivello ha ormai raggiunto un metro.
Ma nessuno interviene. Come per il ponte di via Custoza, anche la seconda infrastruttura di cui trattiamo oggi è del Consorzio industriale, pur non rientrando nella cosiddetta “area consortile”. Ma di questo aspetto, altrettanto singolare per quanto riguarda lo scaricabarile delle responsabilità, parliamo dopo. Una cosa è certa: in questo secondo caso di infrastrutture a rischio la situazione è peggiore. I blocchi di cemento armato piazzati all’ingresso, infatti, sono serviti anche per eseguire le “prove di carico”, tra il 2009 e il 2010, all’esito delle quali il ponte è stato rigorosamente vietato al transito. E i blocchi sono stati lasciati sul posto come due sentinelle del pericolo.
Ma non è possibile chiudere e rimuovere il cavalcavia perché la famiglia che l’utilizza per tornare a casa rimarrebbe isolata dal resto del mondo. Come è accaduto il 31 dicembre del 2012 quando la neve bloccò la stradina (che, non a caso, si chiama Vicolo cieco) che da viale Unità d’Italia conduce al ponte a rischio. Quel giorno arrivò un mezzo del Comune a liberare la strada e la famiglia e per permettere il soccorso di un componente di quest’ultima che aveva necessità di cure. Occorre però fare un grosso passo indietro nel tempo per capire la gravità della situazione. Era il 1970 quando il Consorzio Industriale terminò l'infrastruttura viaria più importante dell'area metropolitana. Parliamo naturalmente dell’Asse attrezzato: un fiore all'occhiello ma anche una condanna a morte per il Consorzio che, per via degli espropri di quegli anni, ha ingaggiato una lunga serie di cause civili, con contenziosi ultradecennali, sentenze sfavorevoli e un debito lievitato a milioni di euro. La storia del ponte senza manutenzione nasce proprio in seguito ad un esproprio.
La famiglia in questione, infatti, si ritrovò tagliata fuori dopo l'occupazione per pubblica utilità dei propri terreni. Come ristoro però venne realizzato il cavalcavia. Fu il Consorzio a costruirlo ma, insieme al ponte di via Custoza, non rientrò tra i beni trasferiti all’Anas, come invece è accaduto per tutti gli altri cavalcavia e per lo stesso Asse attrezzato. In poche parole accadde che il Consorzio industriale, dopo essersi indebitato fino al collo per gli espropri, cedette a titolo gratuito i “gioielli di famiglia” all’Anas. E si tenne le rogne.