Chieti, pedinamenti e bonifica: così la banda rubava le auto di lusso
Il traffico di bolidi in Lombardia con base in città, ecco i ruoli dei 17 indagati. Antifurti gps spenti e centraline ricodificate. Seguiti anche gli imprenditori Walter e Luca Tosto
CHIETI. C’era chi pedinava i proprietari delle macchine di lusso fino a quando parcheggiavano; chi “disturbava” la chiusura elettronica con un dispositivo elettronico; chi era capace di sbloccare la centralina e far partire le macchine dal valore di oltre 100 mila euro che poi finivano nascoste nei garage dei palazzoni di Monza. L’inchiesta sul traffico di auto di lusso che martedì scorso ha portato a 15 arresti tra Monza, Milano e Bergamo toccando anche Chieti e Pescara racconta come si rubano le auto e dove finiscono. Secondo l’accusa, dei 17 indagati, due si muovevano anche tra Chieti e Pescara e uno, Alberto Mondanese, sarebbe tra le menti del gruppo: dava ordini anche durante un periodo di detenzione nel carcere San Donato di Pescara. Tra le vittime dell’organizzazione anche gli imprenditori teatini Walter e Luca Tosto: nel febbraio scorso, a Bergamo, proprio ai Tosto era stato rubato un Range Rover che gli indagati, al telefono, definivano «il mostro» per il suo equipaggiamento speciale.
L’indagine dei carabinieri del Nucleo investigativo di Monza rivela tutti i vari passaggi, dai furti al riciclaggio. Secondo l’accusa, i ladri pedinavano le macchine da rubare: Range Rover, Bwm, Audi e Jaguar. Un altro arrestato, Antonio Mondanese, fratello di Alberto, dice l’ordinanza di arresto, «veniva impiegato in veri e propri servizi di osservazione nei confronti dei proprietari delle auto che il gruppo aveva intenzione di rubare». Quando il proprietario parcheggiava l’auto e la chiudeva elettronicamente, i ladri entravano in azione con un dispositivo chiamato jummer: si tratta di un disturbatore che disattiva il telecomando dell’auto anche se all’apparenza la macchina sembra chiusa. Poi, con il proprietario ormai lontano, i ladri aprivano tranquillamente la portiera, collegavano una centralina alla presa di diagnosi e avviavano elettronicamente la macchina. Poi, con il dispositivo jummer sempre acceso per evitare la localizzazione della vettura via gps, la macchina veniva portata «in box adibiti a imbosco, posti ai piani interrati di vari complessi in maniera da rendere impossibile il funzionamento di eventuali antifurti». Cominciava, a questo punto, la pulizia dei veicoli e tra gli indagati c’è anche un elettrauto di Milano «in grado di procedere all’alterazione del computer di bordo delle Range Rover in maniera tale che dalla consultazione delle centralina principale non si potesse risalire, attraverso il codice del numero di telaio elettronico, al veicolo di provenienza delittuosa». Erano complicati i lavori di «bonifica» con la «rimozione» dei dispositivi di allarme e localizzazione satellitare; l’«azzeramento» delle centraline con la ricodifica generale; la «punzonatura» del telaio con l’«alterazione» dei numeri del telaio nelle varie parti delle auto; apposizione di targhe alterate o contraffatte, anche estere. Alberto Mondanese, dice l’accusa, «aveva la materiale disponibilità delle chiavi per l’apertura dei box di Monza dove erano nascoste le vetture». Poi, c’era la fase della vendita con gli intermediari: le vetture di solito finivano in Germania, Albania e Montenegro. Per vendere la macchina dei Tosto a un marocchino, Mondanese avrebbe ricavato circa tremila euro secondo le intercettazioni: «Sono disperato, per fortuna ho racimolato qualcosa, 3.100 euro».