l'indagine
Ex maresciallo muore in ospedale: 19 indagati a Chieti e L'Aquila
Salma bloccata da 4 mesi a Lanciano, sott’accusa per omicidio colposo medici, infermieri e anestesisti dei due ospedali
CHIETI. Sono 19 gli operatori della sanità indagati per omicidio colposo: medici, infermieri e anestesisti, degli ospedali di Chieti e L'Aquila, finiti sott’accusa per la morte dell’ex maresciallo maggiore dei carabinieri Alberto Di Nola, 67 anni, avvenuta il 20 febbraio al policlinico di Colle dell’Ara.
Dietro alla sua morte c’è un’odissea vissuta tra i due ospedali. Il caso, di cui si è occupato il sito web di Abruzzolive.tv, è finito sul tavolo della Procura teatina che ha aperto un’inchiesta. La salma di Di Nola è bloccata da ben 117 giorni in una cella frigorifera dell’ospedale di Lanciano.
A seguito dell’esposto dei familiari, la Procura si è mossa alla ricerca di "erronee condotte mediche da cui potrebbe essere derivata la morte del paziente". È già stato fissato un incidente probatorio che si terrà il prossimo 16 luglio, davanti al giudice per le indagini preliminari, Antonella Redaelli. Secondo la ricostruzione dei familiari, l’odissea dell’ex carabiniere originario di Treglio è partita all’inizio dell’anno quando l’uomo, affetto da broncopatia ostruttiva grave, iniziò a sentirsi sempre più debole, tanto che decise di farsi controllare in ospedale. A fine gennaio volle sottoporsi a un check up completo e qui sono iniziati i primi problemi. Contattati, infatti, sia l’ospedale teatino che una clinica privata, gli è stato detto che non c’era posto. Ha deciso, dunque, di eseguire gli esami necessari ambulatorialmente, recandosi al “Renzetti" di Lanciano. Lì gli hanno comunicato che doveva ricoverarsi urgentemente in una struttura specializzata. Parte così la ricerca tra Abruzzo e Marche di una struttura disposta ad accoglierlo, ma nel frattempo si libera un letto a Chieti, dove il maresciallo in pensione arriva in ambulanza. Nel giro di pochi giorni Di Nola sembra riprendersi. Finché il 3 febbraio, dopo un esame al torace, i medici hanno sottoposto prima il paziente ad una Tac per una "sospetta neoformazione" e poi gli hanno comunicato che si doveva procedere anche a una broncoscopia, cioè una biopsia in narcosi. È questo l’esame su cui cadono i sospetti della famiglia, l’esame che avrebbe potuto provocargli un collasso del polmone.
Il 10 febbraio Di Nola, in una stanza diagnostica telecomandata, affronta questo esame. Alle 9.30 viene riportato in camera e, dicono i familiari, lasciato solo e senza monitoraggio. Dopo circa un'ora incomincia a star male, «ma non fu soccorso subito», così si legge nell’esposto. Scatta l'allarme ma in poco tempo le condizioni del paziente diventano molto critiche. Alle 14.44 il paziente viene caricato su un'eliambulanza e trasferito in Rianimazione dell'Aquila. Perché a Chieti non c'è posto. Il giorno dopo l'ex carabiniere sembra iniziare a riprendersi. Nella mattina del 12 febbraio, per via del miglioramento, Di Nola, in ambulanza, torna all’ospedale di Chieti. Ma il 14 febbraio c’è un nuovo improvviso peggioramento. Portato in Rianimazione, vi resta sedato sino alla morte. Secondo l’esposto, redatto dall’avvocato frentano Maria Grazia Piccinini, la morte dell’ex maresciallo Di Nola sarebbe «da attribuire ad imperizia, negligenza e superficialità dei medici che lo hanno tenuto in cura, soprattutto riguardo a coloro che hanno deciso di procedere con la broncoscopia, in presenza di un polmone enfisematoso, procurandogli un danno che si è palesato irreparabile e irreversibile». I periti diranno chi ha ragione. (a.i.)