Gli ostaggi disperati: «Riportateci a casa»
Appello del comandante abruzzese. «Ma i pirati lo costringono a parlare così».
CHIETI. L’attesa è diventata spasmodica, domina l’ansia, ma si vivono anche momenti di angoscia. Escluso il blitz per evitare spargimenti di sangue, per scongiurare ogni rischio per gli ostaggi, si continua a trattare in maniera silenziosa per indurre i pirati somali a liberare i 16 componenti dell’equipaggio del rimorchiatore d’alto mare Buccaneer (in inglese bucaniere, pirata) della società italiana Micoperi, cantiere anche a Ortona, sequestrati nel golfo di Aden l’11 aprile. Dieci sono italiani, due dei quali di Ortona: il comandante Mario Iarlori e il marinaio Tommaso Cavuto. E ieri Iarlori ha lanciato un drammatico Sos.
Intervistato per telefono dal Corriere della sera, non ha esitato a chiedere di intervenire, denunciando una situazione di sfinimento totale che lo ha indotto perfino ad augurarsi la morte. «Siamo oltre le nostre forze, per favore liberatici da questa situazione», ha detto Iarlori, «altrimenti chiederemo noi stessi che ci ammazzino, Anche loro, i carcerieri, sono nervosi e ogni tanto sparano E’ successo anche oggi. Una pallottola mi ha sfiorato la testa. Non ce la facciamo più, non c’è più cibo né acqua, usiamo quella marina facendola bollire, non abbiamo medicinali, stiamo uscendo di testa, vogliamo tornare a casa e vogliamo andarci subito».
Agli ostaggi non hanno nemmeno consegnato i viveri inviati con un camion partito da Gibuti, nonostante le assicurazioni. Un appello disperato, corredato anche dall’intervento di un pirata somalo, un carceriere che parla italiano, il quale ha detto che «non ci sono trattative in corso».
Cresce intanto la preoccupazione dei familiari degli ostaggi. «Siamo angosciati», dicono i parenti dei due marittimi di Torre del Greco Giovanni Vollaro e Vincenzo Montella, «nessuno fa nulla per liberarli».
In questa infinita partita a scacchi in cui è in gioco la vita si inseriscono ovviamente tattiche e strategie. Le drammatiche dichiarazioni del capitano Iarlori potrebbero essere state indotte dai sequestratori per garantirsi vie privilegiate per eventuali trattative, questa l’analisi di Silvio Bartolotti, general manager della Micoperi, proprietaria del rimorchiatore. «La telefonata è vera, ma false le affermazioni del comandante, perché è solo ciò che gli vogliono fare dire i pirati per riuscire a esercitare pressioni». Ha inoltre citato un passaggio della telefonata, risentita più volte via Internet, dal quale si capirebbe che il comandante è costretto a mentire.
Ma certamente dopo 53 giorni di prigionia «la situazione a bordo non è facile». Lo ha ammesso anche il premier somalo Omar Abdirashid Ali Sharmarke, nel rilevare che si sta attraversando «una fase delicata». Ma è impensabile un blitz, che la Farnesina ha sempre escluso, dato che «i rapporti di forza a bordo non lo permettono»: sul Buccaneeer, al largo della costa somala, ci sono 16 ostaggi (oltre agli italiani, cinque romeni e un croato) e circa 20 pirati. «Troppo rischioso», ha spiegato il premier, «ma abbiamo speranze. In ogni caso non bisogna pagare, se paghiamo non si fermeranno mai». Margherita Boniver, inviato speciale del ministro degli Esteri per le emergenze umanitarie, che ha visitato la regione il mese scorso, sottolinea che l’Italia continua a fare la sua parte, pur mantenendo il massimo riserbo sulle trattative.
La richiesta del silenzio stampa «serve per poter arrivare a risultati concreti nei modi e nei tempi migliori». E i familiari di Iarlori e Carvuto si stanno attenendo strettamente alla regola del silenzio. il Centro li ha contattati ieri, come sempre hanno preferito non dire nulla.
Resta l’eco dello sfogo di Iarlori, il quale ha anche rivelato che sei ostaggi sono stati portati a terra, nei villaggi, per rendere inefficace un eventuale blitz. Un particolare tutto da dimostrare, che sembra far parte di una strategia precisa, per sbloccare infine la delicata trattativa. In ballo un riscatto consistente che, secondo Remo Di Martino, l’avvocato di Ortona della Micoperi in contatto costante con i servizi segreti del Copasir, è stato richiesto da giorni.
Intervistato per telefono dal Corriere della sera, non ha esitato a chiedere di intervenire, denunciando una situazione di sfinimento totale che lo ha indotto perfino ad augurarsi la morte. «Siamo oltre le nostre forze, per favore liberatici da questa situazione», ha detto Iarlori, «altrimenti chiederemo noi stessi che ci ammazzino, Anche loro, i carcerieri, sono nervosi e ogni tanto sparano E’ successo anche oggi. Una pallottola mi ha sfiorato la testa. Non ce la facciamo più, non c’è più cibo né acqua, usiamo quella marina facendola bollire, non abbiamo medicinali, stiamo uscendo di testa, vogliamo tornare a casa e vogliamo andarci subito».
Agli ostaggi non hanno nemmeno consegnato i viveri inviati con un camion partito da Gibuti, nonostante le assicurazioni. Un appello disperato, corredato anche dall’intervento di un pirata somalo, un carceriere che parla italiano, il quale ha detto che «non ci sono trattative in corso».
Cresce intanto la preoccupazione dei familiari degli ostaggi. «Siamo angosciati», dicono i parenti dei due marittimi di Torre del Greco Giovanni Vollaro e Vincenzo Montella, «nessuno fa nulla per liberarli».
In questa infinita partita a scacchi in cui è in gioco la vita si inseriscono ovviamente tattiche e strategie. Le drammatiche dichiarazioni del capitano Iarlori potrebbero essere state indotte dai sequestratori per garantirsi vie privilegiate per eventuali trattative, questa l’analisi di Silvio Bartolotti, general manager della Micoperi, proprietaria del rimorchiatore. «La telefonata è vera, ma false le affermazioni del comandante, perché è solo ciò che gli vogliono fare dire i pirati per riuscire a esercitare pressioni». Ha inoltre citato un passaggio della telefonata, risentita più volte via Internet, dal quale si capirebbe che il comandante è costretto a mentire.
Ma certamente dopo 53 giorni di prigionia «la situazione a bordo non è facile». Lo ha ammesso anche il premier somalo Omar Abdirashid Ali Sharmarke, nel rilevare che si sta attraversando «una fase delicata». Ma è impensabile un blitz, che la Farnesina ha sempre escluso, dato che «i rapporti di forza a bordo non lo permettono»: sul Buccaneeer, al largo della costa somala, ci sono 16 ostaggi (oltre agli italiani, cinque romeni e un croato) e circa 20 pirati. «Troppo rischioso», ha spiegato il premier, «ma abbiamo speranze. In ogni caso non bisogna pagare, se paghiamo non si fermeranno mai». Margherita Boniver, inviato speciale del ministro degli Esteri per le emergenze umanitarie, che ha visitato la regione il mese scorso, sottolinea che l’Italia continua a fare la sua parte, pur mantenendo il massimo riserbo sulle trattative.
La richiesta del silenzio stampa «serve per poter arrivare a risultati concreti nei modi e nei tempi migliori». E i familiari di Iarlori e Carvuto si stanno attenendo strettamente alla regola del silenzio. il Centro li ha contattati ieri, come sempre hanno preferito non dire nulla.
Resta l’eco dello sfogo di Iarlori, il quale ha anche rivelato che sei ostaggi sono stati portati a terra, nei villaggi, per rendere inefficace un eventuale blitz. Un particolare tutto da dimostrare, che sembra far parte di una strategia precisa, per sbloccare infine la delicata trattativa. In ballo un riscatto consistente che, secondo Remo Di Martino, l’avvocato di Ortona della Micoperi in contatto costante con i servizi segreti del Copasir, è stato richiesto da giorni.