«Il Guerriero non si sposta»
Le bacchettate del sovrintendente: non è un feticcio
CHIETI. Si può essere d’accordo in nome dell’interesse nazionale sulle «ragioni anche politiche che avevano reso irrinunciabile il pur rischioso trasferimento della scultura nella sede del G8», ma fermi tutti, il Guerriero non si sposta più. E se lo faremo, questo avverrà con tutti i crismi e le garanzie per un’opera d’arte unica al mondo. Il Guerriero di Capestrano sarà pure chiamato in dialetto “lu mammocce”, ma non è certo un feticcio.
Giuseppe Andreassi, soprintendente ad interim per i beni archeologici d’Abruzzo, non si nega alla polemica. Con un lungo intervento intitolato “Il ritorno del Guerriero” replica a chi lo ha criticato per non aver concesso la statua ultramillenaria al Comune di Capestrano, la cittadina dove è stata rinvenuta nel 1934 l’opera d’arte. Ma dopo una serie di staffilate a chi valuta il simbolo del museo nazionale archeologico di Chieti e dell’Abruzzo come un quadro che pesa due chili che si può spostare a proprio piacimento e non il colosso in pietra alto 2 metri e 35, senza la base ben 2 metri e 9, non nega un possibile accordo.
«In prospettiva», dice Andreassi, «come tante altre volte ho avuto modo di fare con risultati anche molto lusinghieri, confermo... l’interesse a porre da subito le basi, sul piano dei rapporti istituzionali e per la progettazione, per un grande evento che possa portare i cittadini di Capestrano non tanto a riappropriarsi fisicamente del “Guerriero” secondo principi che lo ridurrebbero a un semplice feticcio, quanto piuttosto a recuperare, attraverso la presentazione contestuale di tanti altri reperti... la conoscenza complessiva di una cultura...».
Il sovrintendente, che ha fatto rientrare la statua al museo della villa comunale subito dopo il prestito (forzoso) per il vertice aquilano dei Grandi della Terra, è rimasto colpito dalle innumerevoli pressioni, che chiama «onde concentriche», subite. «Diversi autorevoli rappresentanti del mondo politico e culturale abruzzese», racconta infatti, «mi hanno raggiunto negli scorsi giorni, in rapporto con la trasferta aquilana del “Guerriero” e in vista di una sua ipotizzata sosta, sulla via del ritorno, nel Comune in cui fu rinvenuto. Essendomi fatto carico dell’impegno di seguire personalmente, sia pure a distanza, ogni passaggio della vicenda, non ho potuto sottrarmi all’obbligo di fornire ai miei interlocutori ogni possibile spunto di riflessione: sempre in strettissimo raccordo con i colleghi della Soprintendenza interessati alla questione e con il direttore generale per i beni archeologici, al quale solo compete la facoltà di autorizzare o negare lo spostamento delle opere di proprietà dello Stato anche solo nell’ambito regionale».
Colpito dall’«ingenuità (se così può dirsi) con cui ci si è fatti promotori o portavoce di una tappa del Guerriero nel castello Piccolomini di Capestrano, come se si trattasse di un banale “multiplo” contemporaneo e non di un pezzo assolutamente unico di 2500 anni fa, lavorato in una pietra e decorato con dei colori che ne accrescono il fascino ma pure la fragilità. Non solo, ma ritengo che non sia stata colta, in tali richieste, la necessità che una presenza così eccezionale a Capestrano (o in qualsiasi altro luogo) avrebbe bisogno di essere programmata e divulgata con larghissimo anticipo, rendendo l’iniziativa un vero e proprio “evento” destinato a restare nella memoria...».
Stoccata finale di Andreassi un po’ a tutti. Le «onde concentriche» hanno fatto «emergere una concezione dell’archeologia che stentiamo a condividere: begli oggetti ostentati quali gioielli di famiglia, mentre da tempo» riteniamo che sia una «occasione irripetibile per ricostruire e ritrovare compiutamente le origini dei popoli». (f.ci.)
Giuseppe Andreassi, soprintendente ad interim per i beni archeologici d’Abruzzo, non si nega alla polemica. Con un lungo intervento intitolato “Il ritorno del Guerriero” replica a chi lo ha criticato per non aver concesso la statua ultramillenaria al Comune di Capestrano, la cittadina dove è stata rinvenuta nel 1934 l’opera d’arte. Ma dopo una serie di staffilate a chi valuta il simbolo del museo nazionale archeologico di Chieti e dell’Abruzzo come un quadro che pesa due chili che si può spostare a proprio piacimento e non il colosso in pietra alto 2 metri e 35, senza la base ben 2 metri e 9, non nega un possibile accordo.
«In prospettiva», dice Andreassi, «come tante altre volte ho avuto modo di fare con risultati anche molto lusinghieri, confermo... l’interesse a porre da subito le basi, sul piano dei rapporti istituzionali e per la progettazione, per un grande evento che possa portare i cittadini di Capestrano non tanto a riappropriarsi fisicamente del “Guerriero” secondo principi che lo ridurrebbero a un semplice feticcio, quanto piuttosto a recuperare, attraverso la presentazione contestuale di tanti altri reperti... la conoscenza complessiva di una cultura...».
Il sovrintendente, che ha fatto rientrare la statua al museo della villa comunale subito dopo il prestito (forzoso) per il vertice aquilano dei Grandi della Terra, è rimasto colpito dalle innumerevoli pressioni, che chiama «onde concentriche», subite. «Diversi autorevoli rappresentanti del mondo politico e culturale abruzzese», racconta infatti, «mi hanno raggiunto negli scorsi giorni, in rapporto con la trasferta aquilana del “Guerriero” e in vista di una sua ipotizzata sosta, sulla via del ritorno, nel Comune in cui fu rinvenuto. Essendomi fatto carico dell’impegno di seguire personalmente, sia pure a distanza, ogni passaggio della vicenda, non ho potuto sottrarmi all’obbligo di fornire ai miei interlocutori ogni possibile spunto di riflessione: sempre in strettissimo raccordo con i colleghi della Soprintendenza interessati alla questione e con il direttore generale per i beni archeologici, al quale solo compete la facoltà di autorizzare o negare lo spostamento delle opere di proprietà dello Stato anche solo nell’ambito regionale».
Colpito dall’«ingenuità (se così può dirsi) con cui ci si è fatti promotori o portavoce di una tappa del Guerriero nel castello Piccolomini di Capestrano, come se si trattasse di un banale “multiplo” contemporaneo e non di un pezzo assolutamente unico di 2500 anni fa, lavorato in una pietra e decorato con dei colori che ne accrescono il fascino ma pure la fragilità. Non solo, ma ritengo che non sia stata colta, in tali richieste, la necessità che una presenza così eccezionale a Capestrano (o in qualsiasi altro luogo) avrebbe bisogno di essere programmata e divulgata con larghissimo anticipo, rendendo l’iniziativa un vero e proprio “evento” destinato a restare nella memoria...».
Stoccata finale di Andreassi un po’ a tutti. Le «onde concentriche» hanno fatto «emergere una concezione dell’archeologia che stentiamo a condividere: begli oggetti ostentati quali gioielli di famiglia, mentre da tempo» riteniamo che sia una «occasione irripetibile per ricostruire e ritrovare compiutamente le origini dei popoli». (f.ci.)