Lavoratori Villa Pini: la Regione cambi la legge

La richiesta del comitato dei dipendenti, domani incontro con Legnini e Di Stefano

CHIETI. Una norma interpretativa della Regione per sanare il baratro. Il comitato dei lavoratori di Villa Pini e centri SanStrefAR chiede all'ente guidato da Gianni Chiodi un blitz sulla norma della legge 32 del 2007, articolo 7 bis, che mette a rischio l'accreditamento a queste strutture sanitarie. Il tentativo estremo per cercare di invertire il corso di un procedimento giudiziario che mette a rischio circa 1400 posti di lavoro nella galassia ex Angelini e la tenuta dei livelli di assistenza sanitaria in Abruzzo.

Di questa vicenda ne ha fatto sintesi perfetta l'arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte. «Su Villa Pini prevalga il senso di umanità». Parole che sono macigni, in attesa del pronunciamento del Consiglio di Stato, il 13 aprile, sul mantenimento o meno dell'accreditamento a tutte le strutture dell'ex Gruppo Angelini. Domani il Comitato dei lavoratori continua il disperato pellegrinaggio istituzionale in cerca della soluzione del problema. A mezzogiorno incontra il senatore Giovanni Legnini e i consiglieri regionali del Pd a Pescara nella sede del consiglio regionale, dove alle 13.30 parla anche con il presidente Nazario Pagano.

Il pomeriggio alle 16.30 è dal sindaco Luigi Albore Mascia e alle 17.30 a Torrevecchia, nel palazzo Ducale, in riunione con i sindaci dei Chietino, il presidente della Provincia Enrico Di Giuseppantonio e il senatore del Pdl, Fabrizio Di Stefano. Tra le strutture in bilico dell'ex Gruppo Angelini c'è anche il centro riabilitativo Maristella, situazione tra le più complicate ancora in carico alla curatela. Dal 1995 è stato trasferito nella clinica Villa Pini, con 40 dipendenti che assistono oggi 35 pazienti interessati da patologie mentali, motorie e comportamentali importanti.

Con il fallimento del gruppo della sanità privata e l'affidamento alla curatela è iniziato per pazienti, famiglie e lavoratori un balletto della precarietà insostenibile, dettato in buona sostanza dal mancato acquisto della struttura da parte di un nuovo proprietario e dalle continue ipotesi di trasferimento degli assistiti in altra struttura. «Purtroppo ci sono anche ritardi nell'erogazione degli stipendi», dice Annalisa Mincone, caposala della struttura e portavoce degli altri dipendenti, «oggi ammontano a cinque mensilità, a causa del ritardo nella corresponsione delle prestazioni da parte della Asl locale, per non parlare di quelle mai pagate da alcune aziende sanitarie extraregionali.

Eppure non ci siamo fermati mai, per non lasciare a se stessi i nostri pazienti, 4 dei quali hanno insufficienza mentale grave in sindrome da immobilità e 9 al ritardo mentale aggiungono anche disordini del comportamento. Solo in 5 casi la diagnosi è di insufficienza mentale moderata. Li assistiamo da anni e il progetto regionale di trasformare strutture come le nostre in residenze sanitarie per disabili adulti, darebbe a noi la continuità occupazionale e a loro quella assistenziale. Sempre che il 13 aprile non finisca tutto».

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