Palazzo Novecento, un gran pasticcio

Ditta, Comune e residenti costretti a trovare una soluzione dopo l'ordine di demolizione
LANCIANO. Dieci famiglie che rischiano di perdere la casa. Un'impresa edile che subirà danni economici per aver costruito sulla base di permessi e titoli abitativi regolarmente autorizzati. Un Comune che, nel corso di diverse amministrazioni, prima autorizza la realizzazione di una palazzina e dopo ne impone la demolizione. E' questo il pasticcio di Palazzo Novecento, l'immobile in via De Titta che secondo il Consiglio di Stato deve essere abbattuto.
La sentenza dei giudici romani non ha impresso la svolta attesa alla vicenda dell'immobile costruito nel 1999 venendo meno alle previsioni del piano regolatore dell'epoca che prevedeva di demolire due villette fatiscenti e ricostruire un unico edificio. Le ville non furono mai abbattute e venne costruito un palazzo come se i comparti fossero due e non uno solo.
Oggi, dopo undici anni di ricorsi al tribunale amministrativo, l'unico risultato raggiunto, ventilato già da qualche anno, è che l'immobile dovrà essere abbattuto. «Allo stato attuale non vedo altre strade percorribili», commenta il sindaco Filippo Paolini (Pdl), «già nel 2005 tentammo, con una delibera di giunta, di salvare capra e cavoli invitando la società costruttrice e il confinante, l'avvocato Pietro Salvatore, a costituire un consorzio e a completare il comparto, sanando l'abuso.
Ma quest'ultimo impugnò l'atto, che venne annullato. Allora il dirigente del settore emanò l'ordine di demolizione. Con questa serie di sentenze è difficile che si trovi una soluzione anche nel piano regolatore in via di approvazione. Stiamo approfondendo la vicenda, soprattutto per chi vi abita». Dieci famiglie che nel 2001 acquistarono gli appartamenti anche se la causa tra la ditta e il confinante era già in corso.
Dal canto suo la Dnd Immobiliare ha intenzione di far valere i propri diritti, che passano per concessioni edilizie regolarmente ottenute, un piano di recupero approvato a maggioranza dal consiglio nel 1997 (sindaco era Nicola Fosco), un permesso di abitabilità regolarmente rilasciato nel 2000. «Abbiamo costruito la palazzina nel modo in cui ci viene contestato, proprio al confine con la proprietà di Salvatore, perché così ci chiese il Comune», dice oggi uno dei soci della Dnd, «e a questo cedemmo gratuitamente il 40% dell'area totale del comparto».
Lo stesso Comune che oggi ordina di demolire quella palazzina. Nelle scorse settimane la società ha comunicato all'amministrazione (che già paga 4mila euro all'anno a Salvatore fino all'abbattimento dell'immobile) di riservarsi di adire le vie legali per ottenere un risarcimento, stimato in oltre 4 milioni di euro. «Siamo tranquilli poiché nella sentenza il Consiglio di Stato ha escluso l'eventualità di un risarcimento», replica Paolini, «ma per il Comune sarebbe costoso anche demolire l'immobile». Davvero un gran pasticcio.
La sentenza dei giudici romani non ha impresso la svolta attesa alla vicenda dell'immobile costruito nel 1999 venendo meno alle previsioni del piano regolatore dell'epoca che prevedeva di demolire due villette fatiscenti e ricostruire un unico edificio. Le ville non furono mai abbattute e venne costruito un palazzo come se i comparti fossero due e non uno solo.
Oggi, dopo undici anni di ricorsi al tribunale amministrativo, l'unico risultato raggiunto, ventilato già da qualche anno, è che l'immobile dovrà essere abbattuto. «Allo stato attuale non vedo altre strade percorribili», commenta il sindaco Filippo Paolini (Pdl), «già nel 2005 tentammo, con una delibera di giunta, di salvare capra e cavoli invitando la società costruttrice e il confinante, l'avvocato Pietro Salvatore, a costituire un consorzio e a completare il comparto, sanando l'abuso.
Ma quest'ultimo impugnò l'atto, che venne annullato. Allora il dirigente del settore emanò l'ordine di demolizione. Con questa serie di sentenze è difficile che si trovi una soluzione anche nel piano regolatore in via di approvazione. Stiamo approfondendo la vicenda, soprattutto per chi vi abita». Dieci famiglie che nel 2001 acquistarono gli appartamenti anche se la causa tra la ditta e il confinante era già in corso.
Dal canto suo la Dnd Immobiliare ha intenzione di far valere i propri diritti, che passano per concessioni edilizie regolarmente ottenute, un piano di recupero approvato a maggioranza dal consiglio nel 1997 (sindaco era Nicola Fosco), un permesso di abitabilità regolarmente rilasciato nel 2000. «Abbiamo costruito la palazzina nel modo in cui ci viene contestato, proprio al confine con la proprietà di Salvatore, perché così ci chiese il Comune», dice oggi uno dei soci della Dnd, «e a questo cedemmo gratuitamente il 40% dell'area totale del comparto».
Lo stesso Comune che oggi ordina di demolire quella palazzina. Nelle scorse settimane la società ha comunicato all'amministrazione (che già paga 4mila euro all'anno a Salvatore fino all'abbattimento dell'immobile) di riservarsi di adire le vie legali per ottenere un risarcimento, stimato in oltre 4 milioni di euro. «Siamo tranquilli poiché nella sentenza il Consiglio di Stato ha escluso l'eventualità di un risarcimento», replica Paolini, «ma per il Comune sarebbe costoso anche demolire l'immobile». Davvero un gran pasticcio.
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