CHIETI
Traffico di rifiuti ferrosi Abruzzo-Marche, 13 arresti e 12 milioni sequestrati / VIDEO
La Procura ha fatto scattare all'alba l'operazione "Easy money". Sigilli a due società, una è di Giulianova. Gli arrestati sono delle province di Chieti, Pescara, Teramo e Reggio Emilia
CHIETI. Sono 13 gli arresti effettuati tra Chieti e Ascoli Piceno per associazone per delinquere finalizzata al traffico di rifiuti ferrosi tra Abruzzo e Marche. Sequestrate due società e circa 12 milioni di euro. gli arresti sono stati effettuati questa mattina dai carabinieri del Comando provinciale di Chieti e dai finanzieri del Comando provinciale di Ascoli Piceno insieme al Nucleo operativo ecologico dell’Arma. L'ordinanza è stata emessa dal giudice (Gip) del Tribunale di Chieti, su richiesta della procura della Repubblica.
Otto degli arrestati sono della provincia di Chieti, tre di quella di Pescara, uno della provincia di Reggio Emilia e uno della provincia di Teramo.
GUARDA IL VIDEO
L'operazione è stata battezzata "Easy money". Questo perché oltre al riciclaggio, autoriciclaggio, gli indagati sono accusato di dichiarazione fraudolenta dei redditi mediante l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, impiego di fatture per operazioni inesistenti al fine di evadere l’imposta sui redditi e sull’Iva e attività organizzata per il traffico di rifiuti.
Sono state sequestrate due società (una di Giulianova), riconducibili agli indagati, che operano nel settore del recupero dei metalli ferrosi, nonché bloccati 12 milioni di euro destinati alla confisca.
Il focus dell'indagine, come ha spiegato nel corso di una conferenza stampa il sostituto procuratore della Repubblica Giuseppe Falasca, sono due società, una di Montecchio Emilia (Reggio Emilia), l'altra di Giulianova (Teramo) che si occupano di recupero di materiali ferrosi. Secondo quanto emerso nel corso delle indagini sono società molto importanti con fatturati milionari, che trattavano i rifiuti e li conferivano alle fonderie per completare il ciclo del recupero dei materiali stessi.
Inoltre buona parte dei rifiuti veniva conferita in nero da società e soggetti che non avevano né autorizzazione né titolo per il conferimento.
Per giustificare i guadagni superiori, che non trovavano corrispondenza nella contabilità effettiva, le due società hanno «investito» in altre società autorizzate nel Chietino che operano, ma fittiziamente, nell'ambito del recupero del ferro, e che emettevano fatture in favore dell'impresa emiliana e di quella abruzzese, per operazioni inesistenti da cui risultava la cessione dei rifiuti.
A loro volta le due imprese versavano bonifici a queste società, come corrispettivo fittizio dell'acquisto di materiale ferroso, e successivamente i soldi confluivano dai conti correnti delle società destinatarie su conti correnti postali attraverso i quali avveniva il recupero in contanti delle somme di denaro, previo una sorta di "tassa" che veniva trattenuta da chi gestiva le imprese fittizie.