Un fiume di droga da Milano in Abruzzo: a Fossacesia un carico da 60mila euro a settimana

La piazza di spaccio gestita da un giovane del posto. Nei guai anche un lancianese che viveva in Lombardia e lavorava ufficialmente come “chef de rang”
FOSSACESIA. C’è un filo che lega Milano all’Abruzzo. È il filo del traffico di droga. Un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia della procura lombarda ha svelato che un fiume di marijuana arrivava fino a Fossacesia, cuore della Costa dei Trabocchi, dove un operaio 31enne del posto gestiva una grossa piazza di spaccio. Più nello specifico: gli venivano recapitati – secondo l’accusa – carichi consistenti per importi pari a 60.000 euro a settimana. Ora in 57 rischiano di finire sotto processo dopo l’avviso di conclusione delle indagini preliminari firmato dai pubblici ministeri Francesco De Tommasi e Gianluca Prisco. Tra loro, oltre all’operaio di cui sopra, c’è anche un lancianese di 33 anni, residente a Cassina Rizzardi (Como) e formalmente occupato a Lugano come “chef de rang”.
A entrambi è contestato il reato, pesantissimo, di «associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti», che – per la sola partecipazione, senza considerare i singoli episodi di cessione delle dosi – è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni. Secondo le indagini dei carabinieri, almeno da settembre 2019, la banda con base a Rozzano – sulla direttrice che collega Milano a Pavia – era composta complessivamente da 16 persone e si occupava della vendita «di quantitativi, anche ingenti, di cocaina, hashish e marijuana», sia a Rozzano che in altri luoghi, a partire dalla provincia di Chieti.
«Scopo associativo», scrivono i pm milanesi, «era quello di accumulare consistenti guadagni di natura illecita da utilizzare per il mantenimento dei sodali e delle loro famiglie, anche in situazione di difficoltà, nonché da reinvestire in successive acquisizioni patrimoniali, oltreché all’acquisto di ulteriori partite di droga». I capi dell’organizzazione compravano, «anche all’estero», grossi quantitativi di sostanze stupefacenti, «per poi rivenderle, pure già confezionate in dosi, agli abituali consumatori o ai titolari di vere e proprie piazze di spaccio», non solo in Lombardia.
Tra questi, si diceva, c’è l’operaio 31enne, «che partecipava al sodalizio come stabile e continuo acquirente di ingenti partite di droga commercializzate dall’associazione». Droga che lui «provvedeva a rimettere sul mercato, a Fossacesia». Gli investigatori, stando sempre alle accuse, hanno documento alcuni pagamenti: il 6 febbraio 2020, per esempio, il 31enne – originario di Guardiagrele – ha consegnato ai suoi fornitori 25.000 euro; a distanza di sette giorni, ha tirato fuori ulteriori 20.000 euro. L’altro abruzzese finito sotto inchiesta avrebbe partecipato all’organizzazione delle consegne di marijuana. A inguaiarli c’è una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali.
La banda utilizzava infatti «veicoli, tutti intestati a terzi, anche presi a noleggio, per il trasporto e l’occultamento degli stupefacenti». Così come erano intestate a prestanomi le numerose utenze telefoniche impiegate per gestire i rapporti tra affiliati e con la clientela. Appartamenti e box tra Rozzano e Locate di Triulzi venivano usati per nascondere, preparare e stoccare la droga. E in un’occasione, nel corso di una perquisizione, è spuntata persino una pistola. La base operativa e logistica del sodalizio si trovava dunque a Rozzano e nei vicini capannoni di Pieve Emanuele, «dove si tenevano incontri di strategica importanza per gli affari criminali, finalizzati a dirimere eventuali controversie o problematiche sorte con gli acquirenti».
Uno dei luogotenenti del capo della banda si spostava di volta in volta, da Rozzano a Fossacesia, «allo scopo di recuperare somme ingenti di denaro derivanti da precedenti forniture di droga» effettuate in favore del 31enne. I due indagati abruzzesi, difesi dagli avvocati Alessandro Orlando e Alessandro Cerella, hanno venti giorni di tempo per presentare memorie, produrre documenti o chiedere di essere interrogati. Poi la Direzione distrettuale antimafia di Milano deciderà se sollecitare il rinvio a giudizio o chiedere l’archiviazione.
©RIPRODUZIONE RISERVATA