IL RITRATTO
Addio a Mario Marenco, re della comicità nonsense
L’attore, architetto e designer è morto a Roma all’età di 85 anni: con Arbore le scorribande in radio, tv e cinema: «Il migliore umorista che abbia conosciuto»
Per “Alto gradimento” è stato il colonnello Buttiglione, comandante della stazione di Zanzibar, poi promosso a generale Damigiani. Ma anche il professor Aristogitone, che «dopo anni di duro lavoro in mezzo a queste quattro mura scolastiche» sognava di prendere «a mazzate» gli studenti «delinquenti». E ancora Raimundo Navarro, l’astronauta spagnolo dimenticato nello spazio a bordo della Paloma Segunda, navicella piena di difetti, pronto e imprecare contro «estos cabrones de Madrid: me haben esballado en esto firmamiento de cobalto».
O la Sgarrambona, sgraziata ragazza in età da marito con voce baritonale, o il surreale poeta Marius Marencus. Fino a vestire i panni di Mister Ramengo per le improbabili telecronache dell’“Altra domenica” e di Riccardino, il bambino goffo e cresciutello con la cartella e il grembiule a quadretti di “Indietro tutta”. Indimenticato interprete di strampalati personaggi della radio e della tv degli anni ’70 e ’80, quella di Renzo Arbore e della banda goliardica con Gianni Boncompagni e Giorgio Bracardi, Mario Marenco è morto ieri a Roma, a 85 anni, al Policlinico Gemelli, dove era ricoverato da tempo per complicazioni legate al suo stato di salute.
Nato a Foggia – proprio come il sodale Arbore – il 9 settembre 1933, si era laureato in architettura a Napoli nel 1957 e dopo borse di ricerca a Stoccolma e Chicago aveva aperto a Roma un suo atelier di architettura e design. Complice della svolta verso la carriera di attore brillante e umorista, una scossa di terremoto, a Rimini: come egli stesso aveva raccontato in qualche intervista, era al Grand Hotel, con l’amico e autore televisivo Alfredo Cerruti, e iniziò a fare telefonate per chiedere cosa fosse successo, spacciandosi per un tal colonnello Buttiglione, diventato poi una delle sue maschere celebri.
Il debutto in tv nel 1972, con Cochi e Renato e Enzo Jannacci nel programma “Il buono e il cattivo”. Ma a consacrare la sua comicità surreale e un po’ folle era stata la radio, nel 1970, con “Alto gradimento”, talk show comico demenziale e format ancora insuperato dell’intrattenimento radiofonico, condotto da Arbore e Boncompagni.
Sempre Arbore lo volle, nel 1976, all’“Altra domenica”, archetipo dell’intrattenimento domenicale all’insegna di creatività, ironia e mix di generi. Vennero poi “Odeon”, “L’uovo e il cubo”, e ancora negli anni Ottanta “Sotto le stelle”, “Chiappala chiappala” con Bracardi e soprattutto “Indietro tutta”, con quel Riccardino che rilanciò Marenco all’attenzione affettuosa del grande pubblico. Di recente era tornato alla radio con il “Programmone” di Nino Frassica. Meno frequenti le sue presenze sul grande schermo: è stato se stesso nel “Pap'occhio” (1980) di Arbore, con cui ha lavorato anche per la realizzazione del film “F.F.S.S. Cioè che mi hai portato a fare sopra Posillipo se non mi vuoi più bene?”.
Si ricordano “Il colonnello Buttiglione diventa generale”, “Von Buttiglione Sturmtruppenführer”, “I carabbinieri”, “Vigili e vigilesse”, “Sing”. Marenco ha firmato libri umoristici editi da Rizzoli, tra cui “Lo scarafo nella brodazza”, “Dal nostro inviato speciale”, “Los Putanados”, “Stupefax” e “Il quaderno delle poesie”. L’anno scorso era uscito “Porcade mancade”, tra racconti inediti e testi storici, una galleria di tragiche inadeguatezze, una summa della sua arte comica in cui erano tornati i suoi personaggi, dal colonnello Buttiglione a Raimundo Navarro, dalla Sgarambona a Riccardino, nel suo stile inconfondibile. Fellini aveva detto di lui: «È troppo intelligente per essere un attore».
«È il migliore umorista che abbia mai conosciuto, un intellettuale finissimo, un personaggio che svettava per la sua originalità e per la straordinaria indipendenza». Arbore ricorda così il suo «amico storico». «È stato un inventore pazzo e straordinario», anche nel suo «lavoro di designer e architetto. Mi piace ricordare il divano Marenco, fatto di soli cuscini, che creò negli anni '70, imitatissimo. Era un irregolare che non aveva ambizioni di successo, e il successo gli arrideva perché trasudava intelligenza: questa definizione gli sarebbe piaciuta, perché si vedeva che dietro il sorriso c’era sempre un dispetto che faceva a se stesso come persona seria e alle istituzioni che lo registravano. Se gli chiedevo “Mario, perché lavori?”, rispondeva “Per sfregio”. E l'ultima volta che, in ospedale, gli ho chiesto “Come stai?”, mi ha risposto: “Una catastrofe”».